Conte: «Follia una crisi ora». Ma rinvia il voto sul Mes

Martedì 16 Giugno 2020 di Alberto Gentili
Conte: «Follia una crisi ora». Ma rinvia il voto sul Mes

«In un momento come questo, in cui il Paese è in forte difficoltà e noi lavoriamo ventre a terra alla sua ricostruzione economica e sociale, una crisi sarebbe una follia». Giuseppe Conte, parlando con qualche ministro a margine degli Stati generali di Villa Pamphili, si mostra ottimista. Certo, Alessandro Di Battista non molla, attacca perfino Beppe Grillo che domenica è corso a blindare il premier. E il Movimento è una polveriera. Ma Conte è convinto che la «tempesta passerà». Tanto più perché «io non ho intenzione di costruire un mio partito, né di lanciare un'Opa per guidare il Movimento». Tesi ribadita in conferenza stampa: «Dopo questo impegno tornerò a fare l'avvocato».

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A rassicurare il premier arrivano i toni più cauti del Pd. Nicola Zingaretti, che nei giorni scorsi aveva lanciato un'offensiva per chiedere al presidente del Consiglio «una svolta» e «fatti concreti», schiaccia sul pedale del freno. E decide, come spiegano nel suo entourage di «puntellare Conte». Tant'è che dal Pd non arrivano commenti velenosi sulla vicenda dei presunti finanziamenti di Maduro ai 5Stelle. E lo stesso segretario dem, che la settimana scorsa non aveva celato le sue critiche alla kermesse di Villa Pamphili («serve concretezza, non passerelle»), dichiara: «Ho fiducia in questo sforzo difficile, utile per avere una visione del Paese».

A consigliare prudenza al Pd è il rischio di implosione dei 5Stelle. E due «buone ragioni». La prima: per Zingaretti dopo questo governo ci sono solo le elezioni e ora votare è impossibile. Tanto più che al Pd non dispiace affatto stare al governo: «Abbiamo una centralità e una capacità di incidere insperate appena qualche mese fa e se il quadro regge saremo noi a dare le carte per il Quirinale», dice un ministro dem.

La seconda ragione: il premier, nel disegno del segretario del Pd, è indispensabile per costruire un «fronte progressista ampio» in grado di competere con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Dunque, se è vero che innervosiscono i sondaggi che certificano la possibilità di un (eventuale) partito dell'avvocato di rosicchiare non pochi consensi al Pd. E' anche vero, come dicono al Nazareno, che «il successo di Conte potrebbe essere anche il nostro: da soli non ce la possiamo fare a battere le destre».

LA FRENATA DI DI MAIO
Non è solo il Pd a inserire la retromarcia. Stare al governo piace a tutti e piace anche a Luigi Di Maio. Così il ministro degli Esteri, sospettato di tramare per far cadere Conte, proprio in queste ore fa trapelare di «sostenere con convinzione» l'esecutivo. Anche perché l'ex leader pentastellato non ha alcuna intenzione di entrare in rotta di collisione con Grillo. Perché è già in difficoltà nel Movimento. E perché come ricordano tra i 5Stelle, «sono Grillo e Casaleggio che scriveranno le liste elettorali...».

A rasserenare Conte c'è poi anche il fatto che l'eventuale scissione capitanata da Di Battista non dovrebbe mettere in crisi il governo. Neppure in Senato, dove i numeri della maggioranza sono in bilico. «La situazione è tranquilla», spiega la capogruppo Loredana De Petris (Leu), «al massimo, se Di Battista strappasse, lo seguirebbe solo Barbara Lezzi». La ragione: non c'è un solo senatore grillino che non sia terrorizzato dalle elezioni anticipate.

L'ARTE DEL RINVIO
In più, la maggioranza a palazzo Madama si è affrettata a disinnescare la mina piazzata da +Europa di Emma Bonino. La mozione a favore del Fondo salva Stati (Mes), che il Pd non avrebbe potuto non votare, non verrà messa in votazione: la riunione dei capigruppo ha derubricato l'intervento di domani in Senato di Conte da comunicazioni sul Consiglio europeo di venerdì, a semplice informativa. E per le informative non sono previsti voti.
Sulla questione del Mes c'è poi uno spiraglio. Mentre Conte rinvia («per ora non ci serve, dipenderà dal quadro di finanza pubblica e deciderà il Parlamento»), trova conferme quanto anticipato da Il Messaggero: il premier sta lavorando a una sorta di scambio tra Pd e 5Stelle: sì al Mes e ai suoi 36 miliardi per la Sanità a metà luglio, quando Conte spera di aver incassato il recovery fund che destina all'Italia 170 miliardi e sì all'eclissi della famiglia Benetton da Autostrade per l'Italia (Aspi) che farebbe cantare vittoria al Movimento. Ma senza revoca. La soluzione più probabile è il passaggio dei Benetton in minoranza con l'ingresso nell'azionariato di Aspi di Cassa depositi e prestiti e il fondo F2i. «Questa soluzione ha una sua logica», dicono nell'entourage di Di Maio che continua a dirsi fermamente contrario al Mes.
 

Ultimo aggiornamento: 10:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA