Due messaggi agli alleati: il governo «non sarà composto per risolvere beghe interne di partito o proponendo qualsiasi nome o per rendite di posizione» e il ricorso ai tecnici non è affatto in discussione, fermo restando che l’esecutivo sarà «forte e coeso, con un programma chiaro, un mandato popolare e un presidente politico». È la giornata dell’orgoglio per Giorgia Meloni che ha riunito l’esecutivo nazionale in via della Scrofa.
Le emergenze
Tante le emergenze sul tavolo. La prima è il caro energia, un dossier sul quale c’è piena collaborazione con il governo anche se la Meloni ribadisce che non parteciperà al Consiglio europeo a Bruxelles del 20 ottobre: «A cosa serve forzare mani e tempi per un Consiglio europeo in cui si rischia di non portare a casa poco o peggio ancora un fallimento?». Sul rapporto con l’ex numero uno della Bce è chiara: «Non sono mai stata draghiana e non lo sono ora. Sui giornali si parla di inciuci ma iosono molto contenta dell’interlocuzione» con il premier e i suoi ministri. Poi c’è il posizionamento internazionale, «l’obbligo è quello di restare nella cornice europeista, portando avanti gli interessi dell’Italia» e nel perimetro atlantista per sostenere l’Ucraina e ricercare la pace.
La relazione del presidente di FdI è tutta imperniata sul futuro più che sul passato. La premessa, infatti, è che «tra 70 giorni ricorrerà il decennale della fondazione di Fratelli d’Italia. Dieci anni fa non potevamo immaginare i traguardi che avremmo raggiunto: con orgoglio raccogliamo i frutti di un lavoro duro. Eppure all’inizio tutti ci sottovalutavano». Ma lo sguardo è rivolto solo avanti: «Non possiamo permetterci errori, ci metto la faccia». Nella riunione intervengono un po’ tutti. Allineati alla leader e ognuno con la propria idea di quali sono le priorità da affrontare. Nessuna richiesta di ministeri, niente nomi, emergono comunque quali sono i problemi del Paese e i desiderata su come intervenire. Dai temi legati alla giustizia a quelli sulla Difesa, dalla Salute alle Infrastrutture. «Abbiamo un numero tale di parlamentari che potremmo controllare tutto l’operato dell’esecutivo», rimarca uno dei big. Meloni ascolta, non dice nulla sulle figure a cui pensa, anche perché ribadisce che – come previsto dalla Costituzione – farà i nomi prima al presidente della Repubblica Mattarella. E con Lega e FI usa toni rassicuranti, «i rapporti sono buoni, c’è una interlocuzione positiva, rispetterò i loro pesi ma dovranno esserci personalità» che sappiano quali sono le sfide da affrontare. Qualche riferimento alle critiche che arrivano dalla futura opposizione. «La sinistra è in totale cortocircuito: siamo arrivati al punto di vedere manifestazioni di protesta contro il nostro governo senza che ancora ci sia il nostro governo.
Il nodo Salvini
Sul nodo Salvini a parlare sono i fedelissimi, non lei. «A me non risulta che ci siano veti di alcun tipo», dice il capogruppo alla Camera Lollobrigida. Il Viminale? «Credo che queste sono considerazioni che farà Meloni insieme ai suoi alleati», sottolinea il presidente dei senatori Ciriani. Sulla stessa lunghezza d’onda il vicepresidente della Camera Rampelli: «Non ci sono polemiche». Via della Scrofa è assediata da telecamere, gli esercenti invitano i giornalisti a lasciar libero l’ingresso dei negozi. Ad uno ad uno escono i dirigenti di Fdi e declinano tutti un’unica parola: «Responsabilità». In tanti si aspettano comunque degli incarichi ma nessuna fuga in avanti, «c’è piena fiducia» nei suoi confronti. «È la fase più difficile della storia della Repubblica italiana», li ha avvertiti la Meloni che ai suoi dice di avere degli incontri proprio sul futuro governo. «Porteremo avanti politiche in discontinuità rispetto a quelle messe in piedi in questi anni dagli esecutivi a trazione Pd», ripete per l’ultima volta prima di lasciare la sede.