Autonomia, Gelmini: «La scuola va tenuta fuori, no al derby tra Nord e Sud. Fondi per i diritti di tutti»

La vicepresidente del gruppo Azione-Italia Viva al Senato lascia segni di matita rossa e blu sul progetto di riforma autonomista targata Lega

Venerdì 30 Dicembre 2022 di Francesco Bechis
Gelmini: «La scuola va tenuta fuori, no al derby tra Nord e Sud. Fondi per i diritti di tutti»

Un errore di metodo. «La riforma doveva prima essere condivisa con il Parlamento». Ma anche un errore di merito. «Non si possono garantire i diritti essenziali dei cittadini italiani senza stanziare i fondi». Mariastella Gelmini, vicepresidente del gruppo Azione-Italia Viva al Senato e già ministra agli Affari regionali e alle Autonomie, lascia segni di matita rossa e blu sul progetto di riforma autonomista targata Lega. Mentre il ministro Roberto Calderoli preme per accelerare l’iter di approvazione in Cdm, il rischio è lasciare indietro «i principali stakeholder», dalle Camere alla Conferenza Stato-Regioni, dice Gelmini.

Che mette in guardia dall’inclusione dell’istruzione tra le materie oggetto di delega: la scuola «deve restare fuori».

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Calderoli accelera sulla riforma autonomista. Giusto correre?
«Calderoli ha garantito in audizione alla Camera di coinvolgere in ogni passaggio il Parlamento, la Conferenza Stato-Regioni e gli enti locali. Lo aspettiamo alla prova dei fatti. Quanto ai tempi: Salvini aveva promesso l’autonomia al primo Cdm, mi sembra che i piani siano stati rivisti…». 
 

A leggere la norma in manovra sembra che la Lega voglia procedere a tappe forzate.
«Con la legge di bilancio, dove c’è solo la costituzione di una cabina di regia di cui non c’era alcun bisogno, hanno in realtà preso un anno di tempo. Le loro promesse della campagna elettorale si sono scontrate con la realtà. Mi auguro, una volta che ci sarà un testo, che ci sia un adeguato confronto con tutti gli stakeholder, con il Parlamento e con le Regioni». 
 

Così come è scritta la riforma rischia di dividere in due il Paese?
«L’autonomia è prevista dall’articolo 116 e dunque si iscrive in un percorso costituzionale. Ma non si possono ripetere gli errori del passato, con un’impostazione ideologica che riduce tutto a un derby tra Nord e Sud, a una sfida per accaparrarsi le risorse. L’autonomia deve essere invece una sfida all’efficienza, alla semplificazione, alla misurazione dei risultati di chi amministra e la possibilità per il cittadino di valutarli». 
 

Come si può evitare questo derby che penalizzerebbe il Paese?
«Seguendo la strada tracciata dal governo Draghi: bisogna prima definire e finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), i diritti di cittadinanza, dalla Sanità ai trasporti, senza diseguaglianze. Solo così facendo si può ragionare di autonomia evitando allarmismi». 
 

La riforma prevede un percorso per definire i Lep entro un anno. 
«Il problema della prima bozza Calderoli è che prevedeva la possibilità di trasferimento alle regioni anche delle materie Lep, a spesa storica, decorso un anno. Ma in manovra non è stanziato un solo euro per assicurare questi diritti. Non basta istituire l’ennesima cabina di regia, che è solo un modo per prendere tempo. Tutto ciò rischia di determinare una frattura con il Sud che porterà all’ennesimo rinvio dell’autonomia». 
 

Cos’altro serve?
«Il governo avrebbe potuto dimostrare la sua buona volontà approvando ad esempio gli emendamenti che con la collega Carfagna abbiamo presentato alla legge di bilancio per finanziare il diritto allo studio, esattamente come il governo Draghi aveva fatto con gli asili nido e il trasporto per disabili». 
 

Qual è, secondo lei, il rischio maggiore che si corre?
«Che il Mezzogiorno veda in questa riforma una strada per acuire le disuguaglianze esistenti. Un tentativo di sottrarre risorse invece che garantire a tutti le medesime prestazioni essenziali». 
 

Come si deve procedere allora?
«Approvando in Parlamento, prima ancora delle intese tra Governo e Regioni, una legge quadro che ribadisca il rispetto dei principi costituzionali, il coinvolgimento del sistema delle conferenze e delle Camere e che indichi chiaramente la previa necessità di definire e finanziare i Lep».
 

Tra le materie incluse nella riforma c’è anche l’istruzione. Ma regionalizzando la scuola non si finisce per indebolirla ulteriormente?
«L’istruzione a mio parere deve essere esclusa dall’autonomia differenziata. E in questo senso abbiamo lavorato nel precedente governo con l’accordo delle regioni coinvolte. La scuola è un diritto e un servizio nazionale, da garantire a tutti in modo omogeneo. Peraltro, lasciarla nel novero delle materie trasferibili, come dimostrano questi anni trascorsi senza che l’autonomia venisse attuata, significa impedire che la riforma parta davvero».
 

E la Sanità?
«È già stata in parte devoluta alle Regioni e i Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr) devono essere aggiornati a livello nazionale. Il settore sconta però un altro problema. In manovra sono stati stanziati solo due miliardi di euro per il settore che nemmeno bastano a rimborsare l’aumento dei costi dell’energia. Lo stato in cui versa la Sanità italiana, tra liste di attesa infinite anche per pazienti oncologici e visite di controllo impossibili, avrebbe meritato ben altra attenzione. 
 

Che tipo di attenzione ad esempio?
«Con il Terzo Polo avevamo presentato emendamenti per sanare almeno in parte la drammatica carenza di medici e infermieri. Sono stati cassati». 
 

Diversi governatori del Centro-Sud hanno chiesto di istituire un fondo perequativo per compensare eventuali divari dovuti alla riforma autonomista. È d’accordo?
«Il fondo perequativo può aiutare a stemperare questa contrapposizione tra Nord e Sud che avvelena il dibattito sull’autonomia. Lo scorso governo ne ha già istituito uno per le infrastrutture ed è una strada che si può percorrere di nuovo». 
 

Un anno fa ha sostenuto che sarebbero bastati pochi mesi per dotare Roma di uno statuto speciale ma ancora non c’è traccia dei poteri per la Capitale. È il momento di occuparsene?
«La legge era pronta, poi il governo è caduto e non è stato possibile andare avanti. Roma è una delle poche capitali europee a non vedere riconosciuti i diritti legati al suo status di Capitale. Mi auguro che si possa al più presto sanare questo divario con altre grandi capitali internazionali, da Berlino a Parigi. Roma non è e non deve essere da meno».
 

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