Bonus, Tridico non fa nomi e i partiti non glieli chiedono. Audizione farsa alla Camera

Sabato 15 Agosto 2020 di Barbara Acquaviti
Bonus, Tridico non fa nomi e i partiti non glieli chiedono. Audizione farsa alla Camera

E’ un po’ come quando si va al cinema per vedere il pubblicizzatissimo film del momento, ma alla fine si esce convinti che non valesse nemmeno il prezzo del biglietto. L’audizione in commissione Lavoro della Camera del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, sull’erogazione dei bonus Iva anche ai cosiddetti ‘furbetti’ di Montecitorio, aveva tutte le premesse per essere un evento parlamentare dirimente: la convocazione in fretta e furia alla vigilia di ferragosto, lo streaming prima non previsto e poi concesso, la grancassa dei giorni precedenti di tutti i partiti – coinvolti e non - pronti a chiedere “trasparenza”.

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Quello che si è visto, però, è stato un film diverso e chi si aspettava che il numero uno dell’istituto di previdenza facesse i nomi, certamente, è rimasto deluso. Anche perché, con l’eccezione dei forzisti Paolo Zangrillo e Renata Polverini e di Walter Rizzetto di Fratelli d’Italia, nessuno ha insistito più di tanto su questo punto. E, dunque, Tridico si è limitato a confermare (senza citarli espressamente) il coinvolgimento dei due parlamentari leghisti, Dara e Murelli, e del pentastellato Rizzone. Il quale, ora che il suo nome è venuto fuori, manda messaggi avvelenati ai suoi colleghi di partito che, tristemente – dice - cavalcano «la rabbia delle persone per provare a riprendersi un po’ di consenso in vista del referendum sul taglio dei parlamentari o delle elezioni regionali».

Per gli altri due deputati ancora anonimi, Tridico ha chiamato nuovamente in causa il Garante della Privacy, spiegando di aver inviato una richiesta di approfondimento poiché i loro profili – non avendo alla fine ricevuto il bonus – potrebbero essere valutati diversamente. Una mossa che molti hanno letto come una strategia per guadagnare altro tempo, dal momento che l’Autorità era già intervenuta in maniera abbastanza chiara dando il via libera e fornendo tutta una serie di riferimenti normativi che certamente gli uffici legali dell’Inps sono in grado di valutare autonomamente.

La connessione zoppicante e i parlamentari in collegamento con ulivi sullo sfondo, capelli mossi dal ventilatore o voci di bambini in lontananza, non hanno certo contribuito a dare all’appuntamento quell’aura di ‘momento della verità’ che ci si aspettava.

Per il resto, l’intervento di Tridico è tutta una difesa del proprio operato e dell’ente che presiede: «La procedura seguita si basa sulla legge” e l’Inps è stata “vittima e non carnefice”. A cominciare dall’accusa di fuga di notizie. “Non sono uscite dal sottoscritto, né direttamente né indirettamente, rimando al mittente le accuse fatte per fini che mi sfuggono, accuse infondate». Parla di notizie «trafugate» e arrivate a Repubblica, ma non spiega niente di più. Racconta di averle condivise a fine maggio con il Cda dell’istituto e annuncia di aver «ordinato un audit interno».

Nell’esordio dell’intervento in commissione, il presidente dell’Inps ripercorre quei mesi del lockdown, sottolineando che in un «momento convulso» occorreva «dare una risposta veloce ai cittadini» e che, nonostante si trattasse di uno strumento nuovo, sono state 13,3 milioni le prestazioni per Covid erogate, tra cui oltre 4 milionidi bonus. E riassume così la logica che è stata seguita: «L’esigenza era pagare e non controllare, pagare subito e poi controllare, questo è stato fatto».

Ed è proprio in questa fase successiva di controlli, spiega, che sono venuti fuori i nomi dei parlamentari e di altri amministratori regionali o comunali. Non per una «caccia alla streghe», assicura. Tridico ricorda che tra i requisiti per ottenere il bonus, mentre non era previsto un tetto al reddito, si chiedeva di «non essere titolari di un trattamento pensionistico né iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie». Proprio da qui sarebbero partite le indagini dell’antifrode su 40mila soggetti, compresi i parlamentari che «hanno una loro forma di previdenza», per il quale però è stato richiesto un ulteriore approfondimento, anche in virtù della riforma dei vitalizi.

Una difesa, quella di Tridico, che ha trovato i 5S completamente schierati dalla sua parte e il resto della maggioranza che non ha infierito. A chiedere la sua testa è invece tutto il centrodestra. «Sia Tridico che Conte si dimettano», chiede Giorgia Meloni.
 

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