Enrico Letta e il suo sistema (che vince) alle elezioni: da Gualtieri-Roma a Manfredi-Napoli, tutti i successi del Pd

Da segretario ha vinto finora tutte le sue partite sia elettorali sia interne al partito

Lunedì 27 Giugno 2022 di Mario Ajello
Gualtieri, Manfredi e ora le vittorie alle Comunali: il sistema-Letta (che funziona) lancia il Pd

I più storicamente attrezzati nel palazzo del Nazareno ricordano in queste ore di euforia da trionfo elettorale come andò nel ‘93: successone della sinistra nelle città e poi la doccia gelata, l’incubo, lo scuorno, il disastro alle politiche del ‘94 con Berlusconi che sbaraglia tutti. Ecco, giusto fare festa per questa vittoria imprevista è significativa, ma non solo il centrodestra, con Giorgia Meloni resta avanti e parte in vantaggio alle politiche 2023 ma l’urgenza del voto di solito ricompatta il fronte anti-sinistra appena si sente odore di governo. Dunque, incassata la vittoria, e certificato il boom, Enrico Letta deve mettersi a lavorare alla ricostruzione di obiettivi capaci di attirare il consenso degli italiani e alla nascita di una vera coalizione politica. La sua scommessa politica adesso è questa. E ha dimostrato che le scommesse le sa vincere. Grazie a quello che ormai dentro e fuori il Pd chiamano il sistema Letta, quello con cui da segretario - torna da Parigi per schiantarsi avevano previsto i più - ha vinto finora tutte le sue partite sia elettorali sia interne al partito.

Le vittorie

Ha scippato il Campidoglio ai 5 grazie alla gestione oculata della candidatura Gualtieri, districandosi con abilità in un verminaio - il Pd romano - che all’inizio temeva assai e che subito dopo ha imparato a maneggiare senza strappi e con ottimi risultati. La vittoria nella Capitale alle Comunali, e quella a Milano con Sala e quella a Napoli con Manfredi. Ora il pienone a Nord e a Sud, e Catanzaro la considera una delle vittorie più determinanti, il Pd come secondo partito italiano in tutti i sondaggi testa a testa con la Meloni, la trasformazione dei dem da junior partner dei 5 stelle in padroni assoluti o unico del campo del centrosinistra, la fedeltà al governo Draghi con il Nazareno architrave della governabilità, il rapporto da potenza a potenza con la Meloni sempre nel rispetto reciproco e senza demonizzazioni, l’insistenza sui diritti civili (dalla legge Zan allo ius scholae) che nulla gli hanno portato nella battaglia di Palazzo ma su cui insiste perché «Il Paese vuole questo» e via così.

Il sistema Letta è un mix tra radicalismo delle scelte, gioco di sponda con i movimenti civici, confronto continuo con Calenda e con gli ex renziani del Pd (dovevano essere fatti fuori e invece Guarini è una spalla dell’Enrico e non pochi di loro avranno la ricandidatura che pareva impossibile agli inizi della segreteria Letta), rispetto con Renzi (che parla di centro ma è pi vicino alla sinistra che alla destra e con l’ex premier che spodestò non c’è più l’Enricostaisereno a dilaniarli) e sempre in questo sistema Letta c’è l’idea della non auto-sufficienza del Pd, del nuovo Ulivo o campo largo, del maggioritario anche se è diventato duttile sul proporzionale, della capacità di conoscere i territori (a cominciare da quello toscano dove si è fatto eleggere nelle suppletive) e di saper individuare le figure più territorialmente radicate per farle correre e vincere (non sempre ma spesso).

Adesso, da qui a marzo, data probabile delle prossime elezioni politiche, Letta si gioca la partitissima dell’ingresso a Palazzo Chigi. Ed è una tripla: o lui, o la Meloni o un capo del governo tecnico-politico alla Draghi (se non addirittura Draghi stesso). L’Enrico si sente molto fit. Ma sa che le amministrative non sono le politiche.

 

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