Elezioni Emilia Romagna, grillini tentati dal voto disgiunto: Bonaccini spera nei governisti

Sabato 25 Gennaio 2020 di Simone Canettieri
Emilia Romagna, grillini tentati dal voto disgiunto: Bonaccini spera nei "governisti"

Ago della bilancia. Domenica più che mai. Il M5S sarà determinante per le sorti di Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni. I voti grillini - che rispetto al 12% delle Europee - potrebbero subire una importante flessione peseranno tantissimo in una partita al fotofinish.
Ancora di più se la base pentastellata opterà nell'urna per il disgiunto: voto di lista al Movimento, voto per il presidente Bonaccini anziché Simone Benini. Una scelta di campo che in queste ore divide i pentastellati proprio in Emilia Romagna, dove tutto ebbe inizio. Dal primo vaffa-day nel 2007 a Bologna alla conquista di Parma nel 2012, «la nostra Stalingrado», come la chiamò Beppe Grillo, salvo poi espellere dopo tre anni il sindaco Federico Pizzarotti, ora nel campo progressista e soprattutto al secondo mandato.

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Ma quelli erano tempi, pionieristici e pieni di entusiasmo. Questa volta l'aria è diversa e lo zoccolo duro del grillino emiliano-romagnolo si trova davanti a una scelta: provare a dare una mano a Bonaccini e quindi anche al governo (come forse vorrebbe Grillo) oppure essere ortodossi fino alla fine anche a costo di fare un favore a Salvini (come magari auspica Luigi Di Maio). E quindi disgiunto sì o no. Benini, che nella vita fa il consigliere comunale a Forlì, sa del dibattito che ha sulla testa e da tempo ci scherza sopra così: «Disgiungetevi dai partiti tradizionali e votate M5S».
Bonaccini insidiato da Salvini, che da settimane staziona nella sua regione, da tempo fa appelli al voto utile degli amici pentastellati: «Mettete la croce sul mio nome».

Al governatore del Pd basta, si fa per dire, che la metà dei voti di lista grillini gli sorridano. In queste ore si fanno tutti i calcoli del caso. E si fanno appelli, più o meno sotterranei, alla responsabilità. Max Bugani, da sempre uomo forte in questa Regione già braccio destro di Gianroberto e Davide Casaleggio, continua a rimanere trincerato nel suo silenzio. Lui non si sa cosa farà. Da sempre era per non presentarsi, ma alla fine la sua linea non è passata. Linea che, però era anche dei big del partito a partire da Di Maio, che alla fine si sono dovuti piegare alla volontà di sua maestà Rousseau. E quindi in queste ore c'è un forte travaglio interno.

LE TRUPPE
Ci sono consiglieri regionali e comunali uscenti che pubblicamente si sono spesi per il disgiunto, al contrario dei parlamentari, prima tra tutti Maria Edera Spadoni, vicepresidente della Camera, che da tempo teorizzano quanto segue: «Piuttosto che votare Pd vado a sciare, i nostri voti non andranno mai alla Lega». In effetti secondo i flussi gran parte dei voti persi alle ultime europee sono già scivolati dal M5S al Carroccio quindi non dovrebbe esserci un altro travaso. Ma adesso la situazione è complicata. E anche Luigi Di Maio lo sa. Tanto che l'altra sera, dalla piazza di Bologna semivuota, ha detto: «Non ci si può presentare o correre solo se si vince, si portano avanti gli ideali e gli obiettivi e chi entra deve lavorare il più possibile per migliorare le condizioni del territorio e dei cittadini».

Tra i mille scenari che si affastellano in queste ore solo uno sembra non prendere corpo: l'ipotesi di un presidente eletto, ma senza maggioranza in consiglio regionale.

La cosiddetta anatra zoppa. Su questo punto il sito di analisi YouTrend ha spiegato: «L'unico caso che la renderebbe possibile è con la coalizione del presidente eletto ferma a meno del 40% dei voti e quindi con meno di 16 seggi nel riparto proporzionale dei primi 40 seggi. Questa eventualità, però è estremamente improbabile in queste elezioni in Emilia Romagna». Gli osservatori ritengono che si vince o si perde per centomila voti.

Ultimo aggiornamento: 15:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA