M5S, Di Maio: «Sono stanco, ma chi dopo di me?», il leader nella morsa dei «traditori»

Sabato 11 Gennaio 2020 di Simone Canettieri
M5S, Di Maio: «Sono stanco, ma chi dopo di me?», il leader nella morsa dei «traditori»
«Sono stanco, è vero, di tutti questi attacchi interni. E a volte sarei proprio curioso di sapere chi sarebbe il mio sostituto. Ecco, chi dopo di me?». Luigi Di Maio è consapevole dell'aria che tira e da settimane ormai vacilla. Vorrebbe lasciare agli ingrati e ai traditori, anzi «ai parassiti che ci stanno succhiando il sangue dall'interno», come da vulgata comunicativa usata ieri dai fedelissimi, le redini del Movimento. Per godersi dopo di lui, appunto, il diluvio.

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Di sicuro, per il momento non farà alcun passo indietro: «Io non mollo». Anzi, ha già l'elmetto in testa conscio che le elezioni in Emilia Romagna (dove oggi terrà due comizi) e Calabria non gli daranno soddisfazioni, ma solo rogne e critiche. Le ennesime. «Ma io non lascio, sono solo veleni interni: vado avanti, non temete», è il messaggio inviato all'esterno in queste ore. Se si guarda intorno, il ministro degli Esteri trova le ombre dei nemici interni. Quelli più alla luce del sole lo attaccano tutti i giorni sui giornali e le agenzie di stampa. Il problema sono le ombre. E - come racconta un ministro grillino a Il Messaggero - «il cerchio di Luigi si è molto ristretto». Soprattutto con la nascita del nuovo governo, quest'estate. Gli esempi non mancano.
I rapporti con Rocco Casalino, portavoce del premier Conte e figura chiave dell'esecutivo, sono ormai di facciata. «Luigi non si fida più di Rocco», racconta chi sta vicino al titolare della Farnesina. Forse perché il deus ex machina della comunicazione di Palazzo Chigi è stato il più scaltro, senza farsi troppi scrupoli, a capire la nuova fase del M5S (così come Grillo). Ma sta di fatto che le tensioni, i silenzi e i messaggi in codice sono ormai quotidiani: dalla politica interna a quella estera. Il problema è la capacità di attrazione che il premier Conte ormai esercita nei confronti dei parlamentari grillini. «Ma lui fa il furbo e continua a dirsi super partes», ragionano i deputati più vicini a Di Maio. Nel mezzo degli equivoci si consumano da tempo le guerre intestine con Palazzo Chigi che vanno al di là delle interviste pettinate sui giornali o delle comparsate televisive all'insegna del «volemose bene».
Anche con i ministri grillini qualcosa si è rotto. Tutti riconoscono a «Luigi il grande lavoro fatto in questa anni», ma ultimamente non sono mancate le tensioni con il capo delegazione e il resto della squadra.
LO SCONTRO
Prima di Natale, a casa di Pietro Dettori, non è passato sotto traccia il duro faccia a faccia tra Di Maio e il tandem Bonafede-Fraccaro, ministro della giustizia e sottosegretario a Chigi, una volta chiamati i «dioscuri». Entrambi, seppur nel solco della lealtà, molto consapevoli sulla nuova fase che aspetta il Movimento. Ed è proprio in queste settimane che Di Maio - al di là del perenne contrasto con Alessandro Di Battista - ha visto il suo cerchio restringersi. In agosto la rottura con Max Bugani, uomo forte di Rousseau e pioniere del M5S, traslocato in Campidoglio con l'arcinemica Virginia Raggi. Anche con Roberto Fico, presidente della Camera, i rapporti sono buoni, ma divergenti sul futuro del Movimento. Tutti piccoli tasselli che continuano a picchiare come una goccia cinese nella testa del Capo politico. Circondato da una pattuglia di pretoriani e da una serie di colonnelli che spesso, appena se ne va, scuotono la testa. Il timore che qualcuno possa spingerlo a fare un passo di lato lo attanaglia. Nel dubbio va avanti, punta a scavallare le regionali per preparare la resa dei conti a marzo.
S. Can.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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