Di Maio, grandi manovre (guardando a destra). M5S, torna lo spettro scissione

Mercoledì 13 Maggio 2020 di Mario Ajello
Di Maio, grandi manovre (guardando a destra). Nel M5S torna lo spettro scissione

Raccontano a Palazzo Chigi: «Deve intervenire Beppe Grillo. Sennò, Di Maio fa saltare tutto». Cioè? Nei 5 stelle qualche amico di Di Maio e molti suoi nemici spiegano così l'esplosione in corso nel movimento e la guerriglia contro la sanatoria dei lavoratori agricoli: «Luigi non solo vuole tornare a fare il capo politico ma è anche convinto che un governo di centrodestra allargato lo può propiziare lui».

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Spaccando M5S e tornando nel patto con Salvini perché il primo amore non si scorda mai, perché una vera rottura tra i due non c'è mai stata e perché un esecutivo diverso da quello attuale, che nella fase 2 sta annaspando, è molto atteso da più parti. Di Di Maio, guarda caso, Giorgetti, il più impegnato a delineare il dopo Conte, dice: «E' uno dei pochi grillini che ha sale in zucca». Chissà se lo pensa sul serio.

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Di sicuro nel pantano attuale, in cui l'esecutivo in corso sembra soverchiato dalle difficoltà ma non si vede un'alternativa, Di Maio ha intuito che può avere qualche carta in mano. Questa: intostare lo scontro con il Pd (che oltretutto sta premiando nel sondaggi: nell'ultima settimana per Swg il movimento è cresciuto di quasi un punto ed è al 16,7), spingere la ministra renziana Bellanova alle dimissioni sul tema immigrati e così mandare tutto all'aria. Strategia avventata? Addirittura fantapolitica? Chissà. Ma nel Pd prendono tutto molto sul serio. E si spera in un intervento di Grillo che blocchi la manovra attribuita a Di Maio.
 


Il presunto ma smentito sgambetto di Conte sull'arrivo di Silvia Romano, ossia l'aver cercato di estromettere dalla vicenda la Farnesina, sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della diffidenza tra ministro e premier. E il pacchetto d'attacco nella strategia di Di Maio sarebbe formato da lui stesso più Crimi, Sibilia, il viceministro degli Esteri Di Stefano, gran parte dei parlamentarti campani e siciliani e tutti gli altri convinti che alcuni ministri stellati siano troppo teneri rispetto alle sirene dem (per non dire di Fico ormai considerato una costola del Nazareno e del Colle).

Nella strategia di Di Maio che vuole tornare ad essere il capo politico (e gli Stati Generali del movimento congelati per l'emergenza potrebbero tenersi addirittura in estate e da lì uscirà la nuova leadership) non rientrano certo la ministra Catalfo che si affanna nei tavoli tecnici a far funzionare il governo né la collega Azzolina all'Istruzione che il Pd considera quasi un'affiliata o altri esponenti grillini di governo che si sentono di sinistra, ma gente come la viceministra dell'Economia, Laura Castelli, che non vuole o mostra di non volere piegarsi a quella a quello che nei movimento qualcuno chiama «il complesso dei migliori» di cui storicamente sono malati i comunisti e i loro succedanei.

LA ROAD MAP
Far cadere Conte è dunque la polizza di sopravvivenza politica di Di Maio. Anche se l'azzardo è evidente. Ma la confusione generale aiuta le manovre o le velleità dell'ex e magari prossimo capo politico stellato. Nella guerra per bande grilline, c'è Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia, che è stato quello che ha insistito per perché venisse fuori il caso delle scarcerazioni dei mafiosi che ha inguaiato il ministro Bonafede. Ed è chiaro a tutti, nel movimento, che alla base di questo ci sia il risentimento non ancora smaltito da parte di Morra per non essere diventato Guardasigilli o almeno, essendo di professione insegnante, ministro dell'Istruzione. E il rompete le righe stellate, condizione necessaria a Di Maio per tentare il ribaltone di governo, passa anche dalla rottura ormai totale tra il movimento e la Casaleggio Associati che pretende l'oblo mensile dai parlamentati in cambio di un servizio poco funzionante quel è la Rousseau.

Chi non è al governo nella squadra rossogialla, e magari lo era in quella gialloverde, lo potrà essere nella prossima compagine che magari si vedrà a creare se la road map di Di Maio non va a sbattere in un vicolo cieco.
Ma c'è il problema Dibba, l'ex amico di Luigi ora temutissimo. Il Che Guevara di Roma Nord, questo il timore di gran parte dei parlamentari stellati, aspirerebbe a fare il capo politico e si gioca la sua partita in chiave anti-Pd. Che è proprio la chiave che Di Maio cerca di togliergli e di attribuirsi. In una manovra che, dopo la celebrazione della pax grillina di questi mesi, fa riemergere o almeno serpeggiare lo spettro della scissione.

Ultimo aggiornamento: 08:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA