Sassoli: «Il Sud, un problema europeo, il divario blocca tutta l’Italia. Il recovery fund è un'occasione storica»

Domenica 2 Agosto 2020 di Marco Conti
Sassoli: «Il Sud, un problema europeo, il divario blocca tutta l Italia. Il recovery fund è un'occasione storica»

Presidente David Sassoli, l’Europa ha messo in campo un corposo pacchetto di aiuti. Ora la palla passa ai governi. Quale consiglio si sente di dare?
«È arrivato il tempo di dimostrare - risponde il presidente del parlamento europeo - che gli sforzi fatti dall’Unione europea possono essere utili ai nostri cittadini. Per fare questo serve che i governi lavorino sulla loro stabilità e nella stesura dei piani nazionali. C’è bisogno di molto pragmatismo anche perché, come vediamo, non siamo usciti dall’emergenza. La pandemia riprende in molti paesi e la vigilanza dev’essere molto alta». 
 

Recovery fund


Pensa che la Commissione che in Italia sta lavorando ai piani sia lo strumento giusto?
«È importante che i governi, con le loro maggioranze, siano operativi e determinati. Bene che il governo abbia messo in campo organismi per definire un piano nazionale che lavori sulle le priorità europee». 

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Proprio perché la pandemia non è sconfitta, serviranno risorse per rafforzare il sistema sanitario, ma in Italia il dibattito sul Mes è infinito. Lei pensa che dovremo attivare il Meccanismo?
«Al punto in cui siamo è bene che il governo costruisca il suo piano di ripresa tenendo conto di tutte le opportunità offerte dall’Unione europea. Vi sono i 209 miliardi del Recovery fund e gli 80 miliardi stanziati fra Sure, Mes sanitario e Bei. Tutti i governi sono al lavoro e l’Italia sarà di certo all’altezza di questa sfida. Ma per arrivare a svolgere un buon lavoro serve coerenza, trasparenza e stabilità». 

Ovvero?
«Se dobbiamo avere molta paura della crisi prodotta dal Covid 19, in egual misura dobbiamo temere che si sviluppino crisi politiche nei nostri paesi che potrebbero azzoppare il piano di ripresa. La risposta europea, con la scommessa per la prima volta di un debito comune, avrà un fischio d’inizio: la ratifica da parte dei parlamenti nazionali dell’innalzamento del tetto delle risorse proprie, cioè dei contributi che finanziano direttamente l’UE. Dall’1,2% al 2% circa: in quell’0.8% vi è la nostra scommessa, perché quel margine consentirà di dare garanzia ai bond che verranno messi sul mercato per finanziare la ripresa comune. Questa operazione deve avere il parere del parlamento europeo, e noi siamo pronti per settembre, ma poi deve essere ratificata da tutti i parlamenti nazionali. Crisi nelle maggioranze politiche oggi potrebbero far saltare tutto e mettere a rischio il futuro dei cittadini e delle imprese europee. Non sarei sorpreso se qualcuno, anche fuori dall’Unione, vi stesse lavorando».

A chi si riferisce?
«L’Europa mette paura a tutti coloro che pensano che non vi sia bisogno di democrazia, che i diritti siano obsoleti e l’uguaglianza sia un optional. I modelli illiberali e oligarchici temono un’Europa che si rimette in piedi senza rinunciare alle proprie libertà. E noi dalla crisi usciremo più forti, con una voce unica su tante questioni sulle quali siamo stati divisi. Questo non passa inosservato». 

Tornando all’Italia il Recovery plan può essere un’occasione soprattutto per il Mezzogiorno?
«Il nuovo piano europeo offre all’Italia l’opportunità storica per colmare un divario territoriale che non ha paragoni. Non interventi a pioggia, ma scuola, sanità, servizi digitali, sostenibilità e politiche per attrarre le imprese. Non possiamo rassegnarci alla fuga dei giovani. Abbiamo visto con grande interesse il Piano per il Sud proposto dal ministro Provenzano e lo sforzo nell’utilizzo dei 10,5 miliardi di fondi europei impiegati nell’emergenza. Il nostro Mezzogiorno è sempre più questione europea». 

Tassi di disoccupazione ben sopra la media e tanti, tantissimi giovani, che vanno all’estero. Che fare?
«Assumere il Mezzogiorno come il paradigma della ricostruzione. Come potrà ripartire l’Italia se il Sud continuerà ad essere distante, fragile, senza sviluppo? Ma non è l’unica priorità: anche le donne lo sono, perché rischiano di essere emarginate ed espulse dal mercato del lavoro. A loro e ai giovani, le catene deboli delle nostre società, dobbiamo offrire certezze e meno precarietà».

L’idea di una fiscalità di vantaggio per il Sud, proposta dal ministro Provenzano, è fattibile?
«Non spetta a me proporre soluzioni. Comunque, anche nel secondo Dopoguerra si operò così. Noi come Parlamento europeo stiamo chiedendo di poter valutare i piani nazionali. Questa battaglia la stiamo conducendo negoziando con la presidenza tedesca. Escludere il Parlamento sarebbe escludere i cittadini e noi non lo consentiremo». 

Pensa che le ratifiche dei Ventisette parlamenti possano arrivare entro la fine dell’anno?
«Il Parlamento europeo voterà a metà settembre sull’aumento delle risorse proprie. Con la presidente Merkel, nell’incontro che ho avuto mercoledì scorso, abbiano definito alcuni passaggi sia del Recovery sia del bilancio pluriennale dell’Unione. Se il Parlamento europeo sarà ascoltato nelle sue richieste tutto potrà essere pronto per il 1 gennaio».

Il patto di stabilità è archiviato del tutto?
«E’ inappropriato discutere oggi della riattivazione o meno del patto di stabilità. Siamo nel pieno di un’emergenza che vediamo risalire. Il Covid si sta affacciando dove non c’era stato e sta tornando dove si pensava di averlo confinato. Dopo l’emergenza vedremo. Ma comunque a Bruxelles di questo non si discute».

Da noi è invece ripreso il dibattito, e lo scontro, sull’immigrazione. Non pensa che anche questo tema vada gestito in maniera un po’ più comunitaria?
«Tra le priorità del semestre tedesco immigrazione e diritto di asilo sono state poste come grandi questioni da affrontare per arrivare a politiche europee vincolanti. L’Italia sta gestendo responsabilmente un’emergenza che è comune. Il Parlamento europeo ha chiesto da tempo una riforma basata sul principio che chi arriva sulle coste italiane o greche non sbarca in Italia o in Grecia, ma in Europa. Siamo pronti a lavorare sul pacchetto di riforme che sta mettendo a punto la Commissione, ma chiediamo che si vada oltre l’esistente perché non possiamo stare più appesi al veto di alcuni paesi. Inoltre c’è da affrontare il rapporto con i paesi africani, soprattutto con quelli, come la Tunisia, che vivono un momento molto particolare e che hanno uno stretto legame con l’Unione. Al governo tunisino chiediamo oggi più collaborazione e un maggior controllo delle loro coste».

E’ possibile vederla candidato a sindaco di Roma?
«Sarebbe come graffiare le istituzioni europee. Ringrazio comunque chi lo pensa, ma l’eventualità non esiste”.
 

Ultimo aggiornamento: 18:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA