Coronavirus e Unione Europea, la battaglia di Italia e Francia passa al tavolo dei capi di governo

Venerdì 10 Aprile 2020 di Marco Conti
Coronavirus e Unione Europea, la battaglia di Italia e Francia passa al tavolo dei capi di governo
ROMA Il diavolo si annida nei dettagli e così alcuni passaggi controversi del documento che l'Eurogruppo licenzia a tarda sera, rimbalzano per ore da una parte all'altra dell'Europa. Il meccanismo della video conferenza non aiuta. Manca il potersi guardare negli occhi e alla fine esce un'intesa a metà, che accontenta tutti soprattutto nel non detto, e che finisce ora sul tavolo del Consiglio europeo convocato per la prossima settimana.

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LA SORTE
La riunione, inizialmente prevista per le cinque del pomeriggio, slitta di ora in ora. L'Italia resta sulla linea della Francia e degli altri paesi che a fine marzo hanno sottoscritto una lettera per gli Eurobond e recrimina da giorni per l'atteggiamento, prima rigido e poi pilatesco, della Germania. Un carico pesante lo mette di prima mattina l'editoriale di Die Welt che chiama in causa la mafia, argomento che i tedeschi usano un po' come i crauti. A Palazzo Chigi arriva la telefonata della Merkel che spiega a Conte di avere a cuore le sorti dell'Italia e dell'Europa e che la Germania «è pronta alla solidarietà» sottolineando come molto sia stato fatto già sinora e in poco tempo. Il riferimento della cancelliera è all'attivismo della Bce che da giorni - grazie al Pandemic emergency purchase programme (Peep) - acquista titoli anche a breve termine e senza la soglia del 33% per singola emissione. Ma anche al via libera al programma Sure per sostenere gli assegni di disoccupazione, e al piano di investimenti messo a punto dalla Bei. Di Eurobond la cancelliera non vuol sentir parlare, ma sul Fondo per la ripresa proposto dalla Francia, non sembra porre ostacoli di principio, come l'Olanda, ma temporali e soprattutto di quantità degli interventi e quindi delle dotazioni.

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Alla riunione il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri si presenta con la consapevolezza di una linea condivisa la sera prima con il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Alla fine il titolare di Via XX Settembre esulta: «Messi sul tavolo i bond europei, tolte dal tavolo le condizionalità del Mes. Consegniamo al Consiglio europeo una proposta ambiziosa. Ci batteremo con energia per realizzarla».
L'Italia ha quindi abbandonato la trincea del «no Mes». Il problema è che mentre il Pd, Leu o Italia dei valori non hanno mai fatto barricate o battaglie di principio, nel M5S il Fondo salva-Stati continua ad essere considerato una sorta di mostro a tre teste e resta vivo lo slogan pronunciato pochi giorni fa dallo stesso Conte: «Eurobond sì, Mes no». Dietro quella trincea il premier si è anche sbilanciato in un «e allora facciamo da soli» che ha spaventato più o meno tutti. Tranne, forse, i 22 grillini che ieri hanno messo nero su bianco un piano alternativo per uscire dalla crisi dal sapore castrista o cileno, a seconda de gusti. Resta il fatto che il Fondo salva-Stati c'è, anche se le condizionalità sono state sospese per tutto il tempo che servirà per superare la crisi. D'altra parte nella battaglia contro il Mes l'Italia alla fine si è ritrovata sola, con la Francia e la Spagna molto più interessate a portare a casa i recovery bond che per Macron, Sanchez - e lo stesso Conte - altro non sono che degli Eurobond seppur limitati nello scopo e nel tempo.
 


Un embrione di mutualizzazione del debito che, tra mille difficoltà e distinguo, finisce sul tavolo del Consiglio europeo che si terrà la prossima settimana insieme al resto delle proposte. Al ministero dell'Economia ieri sera tirava un'aria di sollievo per essere riusciti a far comprendere anche ai paesi del Nord Europa non solo la dimensione della crisi economica che sta per abbattersi sul Vecchio Continente, ma anche i rischi che corre l'Unione senza una strategia unitaria e con paesi che si organizzano ognuno per proprio conto.
Toccherà ora a Conte cercare di allargare il perimetro delle richieste italiane nella prossima riunione del Consiglio europeo. Soprattutto ottenere tempi un po' più certi per l'emissione dei recovery bond che, se gestiti direttamente da un fondo in mano alla Commissione Ue, rischiano di essere subordinati all'approvazione del bilancio europeo.
 
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