Conte dimissioni, Grillini e dem: chi è pronto a scaricarlo (e a evitare le urne)

Domenica 24 Gennaio 2021 di Mario Ajello
Conte dimissioni, Grillini e dem: chi è pronto a scaricarlo (e a evitare le urne)

Tutti con Conte? Beh, sì, insomma, quasi, anzi no. Perché Conte sta diventando un problema pure per chi all'inizio della crisi proclamava con Giuseppi perinde ac cadaver e ora ha modificato lo spartito: morire per Conte? Anche no. Se le crisi sono crisi lampo, ci si entra e ci si esce sempre fedeli a una posizione. Se le crisi si incartano, ed è questo il caso, nessuno resta uguale a prima nel moltiplicarsi delle difficoltà e nell'aggravarsi delle incognite. Quindi?
Nei 5 Stelle monta il sospetto, davanti alla scarsezza dei numeri in Senato, che il premier a questo punto voglia andare al voto perché non ha alternative. Ma se immagini o accarezzi le elezioni, non c'è grillino che ti dica: ok, votiamo. Il voto è la tomba di M5S e la crescente antipatia grillina per Conte non è un fatto personale né politico ma proprio molto pratico e di sopravvivenza: se forse il voto conviene a te, non conviene a me.

Quindi, ognuno per la sua strada.

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OCCHIO AL FONDATORE
Persino Beppe Grillo, che a Conte ci tiene assai, al voto non vuole andare mai e poi mai e se deve scegliere tra il pacchetto Giuseppi più urne e l'opzione niente Avvocato del popolo e niente cabina elettorale, mette la firma sulla casella numero due. Così lui e così i ministri grillini. Compreso Bonafede. Ma non è un fedelissimo del premier? Certo. Ma il Guardasigilli è anche quello che mercoledì, anzi giovedì perché serve un giorno in più per trovare Responsabili o Costruttori, se viene impallinato è il primo che Conte sacrificherà in vista di un Conte Ter e dunque aspetta. Un po' s'affida e un po' diffida Bonafede e simboleggia perfino lui una fase d'incertezza e di liquidità in cui nessuno si sente blindato da nessuno e in cui nessuno è disposto a blindare qualcun altro. Ossia Conte. Perfino il presidente della Camera, Fico, sarebbe più che contiano - dicono i colleghi di partito - fichista. Due anni in più di legislatura ai vertici di Montecitorio valgono più di una difesa a spada tratta del premier, nel caso la strenua resistenza di Giuseppi dovesse diventare impraticabile.

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I REALISTI
Nel Pd, se l'asse Zingaretti-Orlando più Boccia e Provenzano sembra inscalfibile a difesa del premier, ma in politica di inscalfibile non c'è nulla. E tantomeno quel mondo o filo-renzista (occhio a Marcucci che non solo vuole imbarcare di nuovo Renzi a dispetto di Conte ma aggiunge: «Bisogna aprire in modo chiaro agli interlocutori di Forza Italia, non possiamo continuare a mercanteggiare voti») o popolato da realisti alla Franceschini e Guerini che sono sulla linea: «Dopo giovedì si cambia». Ovvero: con Conte per qualche giorno ancora, ma se i numeri in Senato non si trovano sarà il premier a dover ascoltare a noi e non noi a lui. Per non dire di Bonaccini o di Gori, governatore e sindaco, influenti nel Pd perché più votati di tanti capi corrente o ministri, che la strategia del premier del niente pace con Renzi e semmai elezioni non la condividono affatto. E a Zingaretti glielo stanno dicendo in tutti i modi. Idem figure importanti come Delrio e Nannicini, Verducci e Lotti. E via così. Nei 5 Stelle, Di Maio con Conte si vede spesso e si sente sempre. Lo sostiene e lo sta aiutando (insieme alla Taverna nello scouting in Senato). Ma nel movimento assicurano: D'Incà è uno di quelli che non morirebbe mai (Patuanelli alla fine idem e così anche la viceministra Castelli) per Giuseppi e, fuori dal governo, neppure Crimi. Per non dire di Buffagni e di tanti altri. Tutti convinti che Conte, per egoismo, per presunta convenienza (la Ghisleri dà il suo partito al 10 per cento), voglia andare al voto. Ma il «guai se ci prova» è l'unico punto fermo nel caos dei grillini, innamorati della propria presenza fissa nel Palazzo.

Ultimo aggiornamento: 11:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA