L’Italia è pronta a pagare il suo gas in rubli? Per un attimo, e anche qualcosa in più, è sembrato davvero ieri che il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, fosse scivolato sulla buccia di banana che da giorni vanno scansando i principali Paesi europei da quanto Putin si è inventato il doppio conto corrente, “il conto K”, che trasforma i pagamenti in arrivo dall’Europa in euro, in rubli nel tentativo di aggirare le sanzioni.
Da allora Bruxelles ha di fatto vietato i pagamenti in rubli, ma poi ha diffuso delle Faq, Frequently asked questions, in cui di fatto lasciava mano libera alle singole aziende europee di trattare con Gazprom i pagamenti da fare eventualmente sul “conto K”, rigorosamente in rubli, a patto che non siano violati i paletti delle sanzioni.
La rotta
L’articolo pubblicato da Politico dal titolo “Italy open to paying for Russian gas with rubles”, si sono affrettati a puntualizzare dal Mite, «è fuorviante e non corrisponde alla posizione espressa dal ministro Cingolani» che «non ha mai aperto ad un pagamento in rubli». L’interpretazione autentica del colloquio, precisano fonti del Mite, è che in attesa che si definisca unitariamente, a livello di Ue, la posizione sui pagamenti, lo schema euro/rubli che prevede che le imprese paghino in euro, al momento non lascia ravvisare una violazione delle sanzioni stabilite il 24 febbraio. Quindi finché l’Europa non dice che il “conto K” viola le sanzioni, non c’è motivo di escluderne l’utilizzo. Per quanto questa modalità è considerata «una violazione contrattuale», come ribadito ieri il premier Mario Draghi nel corso della conferenza strampa sul nuovo Decreto energia, aggiungendo che «è in attesa, al più presto, che arrivi un parere legale dall’Europa» in proposito. Prima dell’appuntamento di metà maggio in cui le big oil dovranno pagare i loro conti.
La nebbia europea
A stretto giro era arrivata ieri, nel pomeriggio, la reazione dell’Europa. Il ministro della Transizione ecologica «Cingolani ha già detto chiaramente che non ci saranno pagamenti in rubli», ha precisato la commissaria Ue Kadri Simson in conferenza stampa riferendosi alle dichiarazioni riportate dal Politico: «È una notizia fuorviante», ha detto Simson parlando di un incontro con Cingolani avuto «venerdì scorso» in cui gli è stato «spiegato bene che le compagnie europee che hanno siglato contratti che prevedono il pagamento del gas in dollari o euro, come succede nel «97%» dei contratti interessati, possono continuare a rispettare i loro «obblighi contrattuali senza che ci sia violazione delle sanzioni, ha aggiunto. E ancora: «Le compagnie che rispettano i contratti» con fornitori russi «hanno tutto il diritto di rifiutare proposte unilaterali russe» riguardo ai contratti, «che sono firmati».
Il punto è che «noi siamo in linea con l’Europa» ma rimane «una zona grigia», per usare le parole del ministro Cingolani nella conferenza stampa serale sul Decreto. E in effetti il quadro è confuso e non è ancora chiaro se, come prevedibile, dopo i pagamenti in euro o dollari, Putin applicherà un cambio in rubli a suo favore mettendo alla prova la tenuta dei contratti.
Il doppio binario
In questo contesto muoversi in ordine sparso in Europa sul gas russo è già un grande rischio. Poi lasciare alle singole aziende l’intera responsabilità di scelte che hanno conseguenze legali e contrattuali precise, ma importanti risvolti politici, è ancora peggio. L’importante è rimanere uniti», ha detto quindi Draghi. E allora serve una rotta comune più precisa dall’Ue. Perché non pagare, senza il paracadute politico, è il ragionamento del Mite, significa accollarsi un rischio legale ed economico troppo alto anche per una società controllata dallo Stato come Eni, che ha però il 70% diviso tra risparmiatori e fondi, Mentre pagare alla vecchia maniera, e quindi non con il “conto K”, significa rischiare il taglio delle forniture di gas russo come già successo a Polonia e Bulgaria. Per questo va superata la «zona grigia».