Il dpcm scade il 15 gennaio. Cinema, palestre, piscine: ecco chi rischia di non riaprire

Martedì 29 Dicembre 2020 di Francesco Bisozzi e Giuseppe Scarpa
Il dpcm scade il 15 gennaio. Cinema, palestre, piscine: ecco chi rischia di non riaprire

Il 15 gennaio è dietro l'angolo. E il giorno in cui il dpcm che ha diviso l'Italia in regioni rosse, arancioni e gialle, a seconda della diffusione del virus, termina la sua efficacia. La data è attesa da gestori o titolari di piscine, palestre, cinema, teatri, ristoranti e bar. Ci faranno riaprire? E se la risposta fosse affermativa, con quali limitazioni? La speranza di incassare una riapertura totale è tuttavia da escludere. Il governo su consiglio del Cts inizia a ragionare sul da farsi. Ogni decisione è destinata ad essere presa a ridosso di metà gennaio, in funzione di quale piega prenderà la curva dei contagi.
LE APERTURE
Ovviamente le associazioni di categoria esercitano pressione. L'anno che va a chiudersi ha portato debiti ed una ripresa delle attività è vista come l'unica salvezza per evitare in molti casi una definitiva chiusura.
Ecco allora che sulle palestre si valuta l'ipotesi di stabilire un numero fisso di ingressi e impedire ai clienti di accedere agli spogliatoi.

Per quanto concerne le piscine è al vaglio la possibilità di permettere l'utilizzo di una corsia per singola persona. Sui musei si valuta l'ingresso contingentato e su prenotazione.

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Tasto dolente su cinema e teatri, la data della riapertura non è in calendario, le file agli ingressi spaventano le autorità sanitarie. Stesso problema per i grandi eventi come i concerti. Altra categoria che è stata penalizzata dalla pandemia è quella dei titolari di bar e ristoranti.
I gestori dei locali pubblici chiedono a gran voce di poter tornare ad alzare la saracinesca per pranzo e cena. Chi invece dovrà tenerla ancora abbassata sono i proprietari della discoteche. Quest'ultimo è un luogo in cui le persone tendono ad aggregarsi, quindi a stare vicine, anche limitando gli ingressi. Una condizione ideale per la diffusione del virus
LE CRITICHE
Intanto però le associazioni di categoria lanciano l'allarme: «Nel primo trimestre del 2021 rischiamo di assistere al funerale di oltre trecentomila aziende del commercio». A spiegarlo è Mariano Bella, responsabile del Centro studi di Confcommercio, secondo cui ammontano fin qui a 390 mila le imprese falcidiate dal Covid-19 e dal calo dei consumi, diminuiti quest'anno di quasi l'11 per cento rispetto al 2019. I numeri sono decisamente più bui rispetto a quelli comunicati a metà mese dall'Istat, che aveva parlato di 70 mila aziende chiuse per virus.


In realtà, spiegano dal Centro studi di Confcommercio, altre 320 mila circa hanno interrotto l'attività, ma nella speranza di riuscire a risorgere non si sono ancora cancellate dalle rispettive Camere di commercio. Hanno abbassato la saracinesca un'agenzia di viaggio su cinque, il 17 per cento dei negozi di abbigliamento, il 14 per cento circa dei bar e dei ristoranti, il 10 per cento dei distributori di benzina. Più nel dettaglio, hanno interrotto l'attività sessantamila tra bar e ristoranti, circa cinquantamila imprese attive nel commercio all'ingrosso, oltre ventimila aziende di trasporti privati, diciottomila parrucchieri e quasi altrettanti negozi di abbigliamento e calzature.
Per il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli è necessario un vaccino economico: «Il 2020 si chiude con un bilancio drammatico per il nostro sistema produttivo, vittima del Covid. Quasi mezzo milione tra imprese e lavoratori autonomi potrebbero chiudere i battenti. Oltre all'indispensabile vaccino sanitario, c'è bisogno di un vaccino economico, ovvero indennizzi finalmente adeguati al crollo dei fatturati e l'utilizzo di tutte le risorse europee per rimettere in moto l'economia tricolore». Sempre nel 2020 hanno visto la luce nell'ambito del commercio 85 mila aziende, troppo poche per nascondere la riduzione del tessuto produttivo innescata dal virus.
 

 

Ultimo aggiornamento: 10:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA