Bollette, stop di Draghi: «Aiuti extra solo dopo il voto»

Venerdì il decreto da 12 miliardi, ma niente interventi aggiuntivi

Lunedì 12 Settembre 2022 di Alberto Gentili
Bollette, stop di Draghi: «Aiuti extra solo dopo il voto»

Mario Draghi non si lascia impressionare dal pressing dei partiti. «E’ in corso una campagna elettorale e il tema del caro-bollette è il più importante», dice una fonte vicina al premier, «ma il Presidente non intende diventare strumento o assecondare la propaganda».

Ergo: «Faremo il nuovo decreto Aiuti nei tempi, nei modi e nei saldi che abbiamo pianificato».

Traduzione: niente scostamento di bilancio, come chiedono Matteo Salvini, Carlo Calenda, Antonio Tajani. E niente interventi monster. Il nuovo decreto, dopo che giovedì la Camera avrà approvato la relazione del governo, sarà di 12-13 miliardi. E sarà limitato agli interventi previsti: credito d’imposta del 25% per le bollette delle imprese, bar e ristoranti inclusi e rateizzazione; bonus sociale (con azzeramento degli aumenti) per le famiglie con Isee fino a 12mila euro (forse fino a 13-14mila). E, se si dovessero trovare altri fondi, cassa integrazione gratuita come ai tempi del Covid. Ma è difficile.


Eppure il pressing è fortissimo. Giorgia Meloni ha annunciato che giovedì sospenderà la campagna elettorale per presidiare l’aula della Camera dove si discuterà la relazione del governo: «Va assicurato il numero legale e bisogna provare a discutere di quello che si può fare». Il suo braccio destro Guido Crosetto, in un’intervista al Messaggero, ha chiesto a Draghi di «non fare l’offeso perché è stato sfiduciato»: «Deve agire subito. Se non lo fa, famiglie e imprese arriveranno morte a fine ottobre quando si formerà il nuovo governo». Sintesi: «Qui si rischia la guerra civile».


Perfino Enrico Letta, il più convinto sostenitore di Draghi, sollecita interventi ben più pesanti dei 12-13 miliardi messi sul tavolo dal premier e dal ministro dell’Economia, Daniele Franco. Il segretario del Pd chiede cose che Draghi non può o non intende fare, come «il raddoppio del credito di imposta dal 25 al 50% per le attività energivore e dal 15 al 30% per le altre» e «il contratto bollette “luce sociale” per le famiglie con Isee basso». Possibile, invece, che il premier accetti (se sarà percorribile farlo con una norma nazionale) di introdurre il disallineamento del prezzo del gas da quello dell’energia prodotta con fonti rinnovabili. Misura invocata un po’ da tutti, inclusi FdI e Pd.


LE RAGIONI DEL PREMIER
Draghi - che in sede europea ha dato battaglia e continuerà a lottare fino al termine del suo mandato per ottenere il tetto al prezzo del gas e per separare, appunto, i prezzi di gas e luce - però fa scivolare le proposte di spesa. La ragione la spiega chi gli è molto vicino: «Il Presidente si muove nei limiti degli affari correnti e dell’ordinaria amministrazione. E fa tutto ciò che è nelle sue prerogative per preservare il Paese e aiutare famiglie e imprese dalla crisi energetica. Non a caso ha già varato due decreti per un importo complessivo di 50 miliardi e presto il governo ne approverà un altro da 12-13 miliardi. Gli altri interventi, strutturati e più importanti, saranno però inevitabilmente competenza del prossimo governo».


Ma il centrodestra, che annusa aria di vittoria e dunque già sogna lo sbarco a palazzo Chigi, ha fretta. Vorrebbe che Draghi, come si diceva, cominciasse a fare il lavoro che spetterà al nuovo governo. Crosetto vorrebbe che il premier, «grazie alla sua autorevolezza», convincesse l’Ue europea a concedere all’Italia «di utilizzare i fondi europei per lo sviluppo che non abbiamo speso, che dovremmo restituire e che ammontano a più di 20 miliardi». E con questi fondi fissare un tetto alle bollette «oltre il quale paga lo Stato».


In più Meloni, come spiega il responsabile del programma Gianbattista Fazzolari, chiede al pari di Letta «una norma nazionale per disallineare il meccanismo del prezzo dell’energia prodotta col gas da quella prodotta con altre forme. Costerebbe allo Stato quattro miliardi, ma ridurrebbe il costo di tutta l’energia».


Salvini ha piani più ambiziosi. Da giorni invoca uno scostamento di bilancio da 30 miliardi per sterilizzare gli aumenti delle bollette. E sta cercando alleati per convincere Draghi (con un voto del Parlamento) a farlo: «Sto inseguendo disperatamente quasi come uno stalker Letta, Renzi e Di Maio per firmare assieme un decreto con cui con 30 miliardi bloccare il caro-energia. Ma, inspiegabilmente, non c’è risposta da sinistra». 


APPELLI & DIVISIONI
In realtà la spiegazione è semplice: anche se l’obiettivo è comune, in questa partita a meno di 2 settimane dalle elezioni, nessun leader vuole mischiarsi agli avversari. Neppure per salvare assieme famiglie e imprese. Lo sa bene Carlo Calenda che, al pari di Salvini, è d’accordo per lo scostamento di bilancio: «Sono tre settimane che propongo che i partiti si riuniscano e diano l’ok per un intervento straordinario, ma nessuno ha aderito».


Così ognuno continua la campagna elettorale con al centro il caro bollette. Antonio Tajani di Forza Italia dice sì allo scostamento: «Se non si rischia la desertificazione delle imprese». E Luigi Di Maio propone: «Lo Stato paghi l’80% delle bollette, finché in Europa non otterremo la soluzione definitiva che è il tetto massimo al prezzo del gas». Altra proposta che resterà inascoltata, ma che serve per provare a rastrellare qualche voto.

Ultimo aggiornamento: 13 Settembre, 08:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA