Carlo Bonomi: «Licenziamenti, intese tradite, così non si fanno le riforme»

Martedì 25 Maggio 2021 di Nando Santonastaso
Carlo Bonomi: «Licenziamenti, intese tradite, così non si fanno le riforme»

Presidente Carlo Bonomi, Confindustria ha già espresso tutte le sue riserve sulla proroga del blocco dei licenziamenti a fine agosto: che margini ci sono perché il governo cambi idea?
«Intanto mi faccia dire che la dimensione di quanto è accaduto l’ha data con grande onestà intellettuale il sottosegretario al Lavoro Tiziana Nisini, che ha parlato di un’imboscata.

Non lo dice solo Confindustria ma anche un rappresentante del governo. Più chiaro di così».

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Ma a questo punto deve intervenire il premier Draghi?
«Noi abbiamo dato una grande disponibilità anche a questo governo, com’è nella tradizione di Confindustria, anche in materia di lavoro. Avevamo incontrato il ministro ed era stato trovato un accordo per prorogare il blocco dei licenziamenti al 30 giugno. Poi ci siamo trovati di fronte ad un cambio di metodo inaspettato e inaccettabile: parlo di metodo perché nel merito ci si poteva confrontare e ragionare con la massima trasparenza. Mi sembra però che a mancare sia la volontà del ministro di affrontare i veri problemi del mondo del lavoro».


Sui quali Confindustria aveva già da tempo indicato le sue proposte: ne avete mai discusso fino in fondo con il governo?
«Da un anno, infatti, abbiamo messo nero su bianco le nostre proposte sulla riforma degli ammortizzatori sociali e sulle politiche attive del lavoro ma a quanto pare, al momento, è solo Confindustria ad avere idee e proposte al riguardo. Dispiace che questa ulteriore “sorpresa” da parte del ministro Orlando metta in ombra quanto di positivo è contenuto nel decreto Sostegni Bis come, per esempio, il recupero dell’Iva derivante da crediti fallimentari».


Pensa che dietro questo atteggiamento ci sia una posizione ideologica?
«C’è un problema di metodo: se, come dice la sottosegretaria Nisini, si fanno imboscate, mi chiedo qual è il livello di interlocuzione, come si fa a lavorare insieme sulle riforme delle politiche attive del lavoro che dovrebbero vedere il concorso di tutti, dallo Stato alle imprese, ai sindacati. Confindustria aveva investito su questi rapporti, c’era un tavolo sul quale confrontarsi: siamo invece di fronte ad un ministro che propone un provvedimento di blocco al 28 agosto mentre in contemporanea il Parlamento vota lo stop ai licenziamenti fino al 30 giugno. Ma che certezza hanno adesso le imprese, che si stanno riorganizzando? E che immagine diamo come Paese? Guardi che a ritrovarsi in difficoltà è il Paese, non Confindustria».


Si dice che il premier Draghi stia rimettendo in discussione questa decisione. Risponde forse a un appello che gli avete rivolto voi?
«Io ho grande stima del presidente Draghi e la nostra fiducia e disponibilità verso il presidente del Consiglio è immutata, come più volte abbiamo avuto modo di sottolineare. È il metodo, questo metodo che non va bene».


Anche i sindacati protestano per la proroga ma perché per loro è troppo breve: si riapre un fronte di conflittualità?
«Bisogna cambiare paradigma: il mondo del lavoro sta cambiando e i posti di lavoro non saranno più com’erano e dov’erano. Ecco perché diciamo che bisogna mettere al centro le persone e la loro occupabilità. Purtroppo, sembra che il futuro delle persone interessino solo a noi. Non a caso nella dialettica comune si cerca di far passare l’idea che Confindustria voglia i licenziamenti e che bocci per questo la proroga: ma non è affatto così. Noi vogliamo che le nostre imprese, che puntano ad alti standard qualitativi di produzione, abbiano le competenze necessarie per affrontare le nuove sfide sulla competitività. Per esempio, se il personale è in Cassa integrazione, per legge la formazione non si può fare. E la formazione è importante non solo per quelli che sono fuori dal mondo del lavoro ma anche per quelli che oggi ne fanno parte. Allora, vogliamo sederci attorno ad un tavolo e discutere di formazione e rioccupabilità, a partire da giovani e donne, le categorie più colpite. Io sono pronto. Come lo sono stato nei rinnovi dei contratti di lavoro: nel mio primo anno alla guida di Confindustria abbiamo rinnovato quelli di oltre 2 milioni di lavoratori e parlo di contratti fermi anche da 17 anni».


Lei è d’accordo sulle ipotesi di semplificazione delle norme del Codice degli appalti su cui i sindacati, ma non solo, hanno già sollevato forti obiezioni?
«Che questo Paese debba fare le riforme, attese ormai da 25 anni, non c’è alcun dubbio. Ci è sempre stato raccontato che mancavano le risorse, ma oggi questo problema non c’è: le semplificazioni servono ma sul Codice non si può pensare di andare ad una deregulation totale. Devono esserci norme di garanzia per la trasparenza e la legalità ma non possiamo tenerci una legislazione che di fatto impedisce di realizzare qualsiasi cosa. Se per fare un’opera superiore ai 100 milioni in Italia occorrono non meno di 15 anni e 7 mesi, e se due terzi di questo tempo li sprechiamo prima ancora della gara, vuol dire che qualcosa non funziona. Il tema è dunque intervenire non sul percorso della gara ma a monte, semplificando ad esempio tutta la procedura in materia di autorizzazioni come l’Ance indica da tempo, del resto».


Infrastrutture decisive soprattutto per il Sud: lei ritiene che la capacità di spesa sia sempre l’incognita numero uno per il Mezzogiorno?
«Il 40% delle risorse del Pnrr messe a disposizione del Mezzogiorno, superando anche il quorum del 34% in base alla popolazione, dimostra che il problema non è la quantità dei fondi in campo, necessari soprattutto a ridurre il gap infrastrutturale di quest’area. Ma dobbiamo guardarci una volta per tutte negli occhi e mettere a fuoco i veri temi: e cioè, cambiare la mentalità per la messa a terra di tutte queste risorse».


Cosa vuol dire, presidente?
«Parlo di capacità tecnica degli enti locali, per cominciare. Perché i Comuni saranno gli enti finali attuatori del Pnrr e il tema dell’execution sarà fondamentale come dimostra il fatto che si impiegano 20 anni per completare un’opera e quando è finita si scopre che oramai è inutile. Ma c’è anche un tema di legalità, senza negare che anche il Nord non ne è immune come dimostrano le forti infiltrazioni della criminalità organizzata in quei territori. Ecco perché è importante sapere come utilizzare e bene le risorse: l’esempio dei Fondi strutturali e di Coesione, impegnati solo al 50%, conferma che bisogna cambiare mentalità altrimenti le nuove risorse non arriveranno mai a destinazione».


Lei nell’ultima Assemblea di Confindustria ha anche proposto di collaborare alla scrittura dei bandi pubblici che dovrebbero attrarre le risorse dei privati: che vuol dire?
«Torniamo al discorso del metodo. O c’è una grande partnership pubblico-privato o falliamo come Paese. Un anno fa lanciai un grande Patto per l’Italia e oggi che abbiamo il Pnrr, ci sono le risorse e dobbiamo fare le riforme, è arrivato il momento di lavorare tutti insieme come ci chiedono gli italiani. Nel Pnrr si indica la crescita del Pil a fine 2026 in una forchetta compresa tra l’1,8% e il 3,6%: ma questa crescita non ci consentirebbe di affrontare il macigno del 160% del rapporto Debito-Pil che secondo tutti gli esperti durerà per parecchi anni. Se dunque si considera che le ampie risorse per la transizione energetica del Pnrr potrebbero mettere in moto ben 600 miliardi di investimenti privati, non sarebbe il caso di metterci attorno a quel tavolo e vedere come raggiungere l’obiettivo? La partnership tra pubblico e privato è fondamentale per il Paese: forse, il malessere che è emerso a proposito della proroga inaspettata del blocco dei licenziamenti conferma che su questo punto non c’è ancora la necessaria, giusta considerazione».
 

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