«Se si ferma l'ultimo vagone, si ferma tutta la locomotiva». Sandro Staiano, ordinario di Diritto costituzionale all'Università di Napoli e presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti (Aic), boccia la riforma autonomista targata Lega.
Che giudizio dà della nuova bozza Calderoli?
«La sostanza non cambia.
Calderoli corre, per alcuni troppo. L'autonomia è un'urgenza?
«No, chiariamo questo punto: non c'è alcuna emergenza. Come non esiste un obbligo costituzionale di trasferire queste funzioni. La fretta è cattiva consigliera e rischia di creare un'altra frattura del sistema».
Ma l'autonomia è prevista in Costituzione. Giusto?
«Giusto, ma non è scritto da nessuna parte che le Regioni possano chiedere qualsiasi funzione allo Stato. Nella nuova legge manca un'analisi di impatto preventiva: quanto costa per lo Stato e la Regione il trasferimento della funzione? Si può fare? Peraltro si va avanti senza che l'aula si esprima».
Nel Ddl Calderoli è previsto il parere della Commissione affari regionali sullo schema d'intesa.
«Un parere però non vincolante. E a ben vedere l'intesa tra governo e Regioni è intoccabile perché il Parlamento non può modificarla. Come si possa decidere cosa le Camere possano fare o meno senza modificare la Costituzione è un mistero».
Altra criticità: i Livelli essenziali delle prestazioni si determineranno con un Dcpm. Un atto amministrativo, che dall'aula non passa.
«Una violazione della riserva di legge del 117, a mio parere assoluta, che spiega come sia competenza esclusiva dello Stato definire questi servizi essenziali. Serve una legge che stabilisca almeno i criteri o le modalità».
Insomma, gran parte dell'iter si decide tra Palazzo Chigi e le giunte regionali.
«Una marginalizzazione del Parlamento inspiegabile. Ma sui Lep il problema vero è un altro».
Quale?
«Questi diritti essenziali dei cittadini, dai trasporti alla Sanità, devono essere finanziati. La nuova bozza Calderoli non scioglie il nodo: come e dove si trovano le risorse? Senza soldi, rimangono diritti virtuali. Eppure sugli asili nido questa garanzia è stata data: si è deciso che la disponibilità dei posti non deve essere inferiore al 33%. Poi però il precedente governo ha stanziato i fondi».
Come se ne esce?
«Un'idea è istituire un fondo perequativo per arginare i divari tra Regioni del Nord e Sud».
Rispetto alle intese di Veneto e Lombardia del 2019, nella legge Calderoli non si parla più di residuo fiscale e di trasferimento di entrate erariali. Un passo avanti?
«Non se ne parla direttamente, ma il pericolo resta. È ancora presente un riferimento alla spesa storica che rischia di dare il via a una forte sperequazione tra Nord e Sud».
Un parere da costituzionalista: questa legge rischia la bocciatura della Corte Costituzionale?
«Diciamo che l'impianto confuso e l'approccio sconsiderato al tema rendono probabile un intervento. È successo dopo la riforma del titolo V della Carta, quando per anni la Corte ha corretto il tiro con la sua giurisprudenza. Ma non è un esito auspicabile: è la politica a dover decidere».
Professore, è vero che c'è chi vuole fare melina rispetto alle richieste di autonomia delle Regioni del Nord?
«Ma il punto è che non sappiamo cosa richiedano queste Regioni. Fin dove si estenda il confine. Dopo i referendum Veneto e Lombardia hanno chiesto la delega di tutte le materie e le relative entrate erariali. Un uso strumentale dell'articolo 116 comma 3 della Costituzione».
L'autonomia non è un'occasione per responsabilizzare anche una classe dirigente al Sud?
«Nessun dubbio, come ogni vero meridionalista riconosce il Sud ha enormi problemi di classe dirigente e di efficienza. Ma il Nord non ne è esente. Il caso della sanità lombarda durante la pandemia, specie quella privata, fa riflettere».
Insomma, a suo parere questa riforma divide il Paese?
È figlia di una logica estrattiva, che punta al pompaggio delle risorse meridionali verso Nord. Non capiscono che se l'ultimo vagone va più lento, rallenta tutta la locomotiva».
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