Autonomia, De Siervo: «La riforma aggrava le diseguaglianze»

Intervista all’ex presidente della Corte Costituzionale: «I problemi maggiori soprattutto per il Sud»

Mercoledì 28 Dicembre 2022 di Francesco Bechis
Autonomia, De Siervo: «La riforma aggrava le diseguaglianze»

Un compleanno amaro. La Costituzione italiana ha compiuto ieri 75 anni. E oggi, dice Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, la riforma autonomista di Calderoli rischia di «demolirla».
L'autonomia non è in Costituzione?
«C'è, è stata inserita dalla disgraziata riforma del Titolo V. Ma è prevista come correttivo marginale che non può modificare il disegno fondamentale della Carta. Tantomeno con accordi politici e leggine che tagliano fuori il Parlamento».
Si riferisce all'iter previsto dalla bozza Calderoli?
«Questa riforma è incostituzionale. Non si può intervenire sull'autonomia regionale con atti amministrativi come i Dpcm o confuse intese tra sistemi politici regionali e governo centrale che esautorano l'aula».
Il testo sarà approvato dall'aula.
«Solo a posteriori, come legge ordinaria. La Costituzione invece è chiara: quando si modificano il testo e lo spirito della Carta serve una legge costituzionale, con doppia votazione a maggioranza rafforzata ed eventualmente un referendum».
Cosa non la convince del testo?
«Trovo questa legge, così come altre che l'hanno preceduta, profondamente sbagliata e contraria al disegno egualitario della Costituzione che affida a tutte le Regioni ordinarie i medesimi poteri».
Qual è il rischio?
«Il rischio, concreto, è demolire in larga parte la Costituzione.

Permettere alle Regioni di intervenire liberamente in quasi tutte le materie, dalla sanità all'urbanistica fino alla scuola, significa non solo alterare i poteri tra le Regioni stesse ma il rapporto tra i gruppi sociali coinvolti».


Per la Lega è una promessa disattesa.
«Ripeto, l'autonomia è prevista nella Carta. Ma come una serie di piccoli interventi su casi specifici. Non come aumento generalizzato di tutti i poteri delle Regioni, prima quelle del Nord, poi le altre, senza alcun criterio e senza passare per il vaglio del Parlamento».
Non rischia così di passare il messaggio di una Costituzione intoccabile, a 75 anni dalla sua nascita?
«In questi anni il nostro Paese è profondamente cambiato e può cambiare anche la Costituzione, specie nella parte che riguarda i rapporti tra amministrazioni centrali e regionali. Purché sia il Parlamento a decidere e non l'ennesimo accordicchio politico per ottenere fondi in più».
Torniamo alla riforma Calderoli. A suo parere rischia la bocciatura della Consulta?
«Sì. La decisione ovviamente non spetta a me, ma è evidente a chi studia e conosce il diritto regionale che questa riforma cerca di ottenere qualche brandello di modifica della Carta sotto la Spada di Damocle della dichiarazione di illegittimità».
C'è chi parla di secessione delle regioni ricche. È davvero così?
«L'autonomia così concepita aggrava senz'altro le disparità tra Regioni, tra centro-Nord e Mezzogiorno. Un divario che varia a seconda delle aree del Paese e che può aumentare, penso alla sanità o ai lavori pubblici».
Il Sud paga il conto più alto?
«Diciamo che alcune Regioni al Sud, se la riforma dovesse andare in porto, rischierebbero di uscire indebolite e apparire come perpetuamente inadempienti. Anche perché alle Regioni del Nord sono collegati privilegi fiscali».
Il criterio della spesa storica per definire le prestazioni essenziali è da rivedere?
«Sì. Perché riproduce vecchi flussi finanziari che certamente non favoriscono le Regioni del Centro-Sud».
Tra le materie oggetto di delega c'è anche l'istruzione. La scuola si può regionalizzare?
«Tutto si può fare, ma servono robuste leggi cornice per definire con chiarezza cosa deve trattenere per sé lo Stato: dai criteri selettivi per la docenza ai titoli di studio. Qui invece il pericolo è autorizzare un serio disfacimento scolastico. E aggiungo una riflessione da professore».
Prego.
«In Italia negli ultimi anni il livello di insegnamento nelle scuole e negli atenei ha subito un calo preoccupante. Migliaia di ragazzi in gamba preferiscono l'esodo in Paesi anglosassoni o europei».
Cosa c'entra l'autonomia?
«Quando si vuole modificare tout-court un sistema complesso come la scuola bisogna fare attenzione. Le riforme devono migliorare il Paese, non accentuarne il degrado. E il conto di questa fuga all'estero dei nostri migliori cervelli, che un domani saranno classe dirigente, è già salatissimo».

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