Autonomia, Musumeci: «Competenze alle Regioni? Si deciderà caso per caso. I ministeri restano a Roma»

Il ministro per la Protezione civile: «Non basta chiedere un pezzo di Stato centrale per ottenerlo: così si stravolgerebbe la Costituzione»

Sabato 17 Dicembre 2022 di Andrea Bulleri
Autonomia, Musumeci: «Competenze alle Regioni? Si deciderà caso per caso. I ministeri restano a Roma»

«Bisogna, se mi passa l’espressione, differenziare le differenze: nel disegno dell’Autonomia differenziata, le competenze verranno attribuite alle Regioni secondo le loro specificità, non solo in base alle loro richieste.

E Roma non sarà lasciata indietro: i ministeri non se ne andranno».

 
Ministro Musumeci, stando alla proposta del suo collega Calderoli, basterebbe un decreto del presidente del Consiglio per definire i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ossia quei servizi minimi da garantire per tutti i cittadini da Nord a Sud. Davvero si può ignorare il Parlamento su un tema così importante? 
«La legge sull’autonomia differenziata sarà approvata con una maggioranza qualificata, a maggioranza assoluta: è una legge rinforzata. E questa è una garanzia. Certo, in questa materia il confronto in Parlamento ci deve essere e, a mio parere, è bene sia ampio e inclusivo. Calderoli sta dando prova di grande apertura»


Non vede il rischio di sottrarre a un vaglio più approfondito elementi essenziali della parità dei diritti tra i cittadini?
«La mia opinione è che la determinazione dei Lep debba essere il primo passo del processo riformatore. Il livello minimo di prestazioni da erogare in modo uniforme su tutto il territorio garantisce l’equilibrio tra unità nazionale e autonomia. Per non esporsi a critiche divisive, in particolare a quelle di chi grida al pericolo che si crei un solco profondo tra “regioni ricche” e “regioni povere”, prima di tutto si facciano i Lep».


In manovra, però, al momento non ci sono risorse per finanziare i Lep. Arriveranno?
«Certo. Su questo la Costituzione è esplicita e non c’è modo per eluderla. L’articolo 119 prevede tre contrafforti: la perequazione finanziaria in favore dei territori con minore capacità fiscale, risorse aggiuntive per “promuovere lo sviluppo economico, la coesione sociale e rimuovere gli squilibri” e infine misure necessarie per rimuovere “gli svantaggi derivanti dall’insularità”. Insomma l’articolo 119, mi si passi l’espressione, è il guardiano di se stesso: spesso questo sistema di check and balance viene dimenticato. Invece è la chiave di lettura per garantire insieme autonomia e unità nazionale».


Nel piano di Calderoli, le Regioni contrattano le loro intese e si prendono “pezzi” dello Stato centrale. Non avrebbe più senso definire la materia in modo organico?
«Dico la mia con franchezza, sulla scorta della mia cultura politica di uomo di destra, che ha guidato una grande Regione a statuto speciale come la Sicilia. Governo e parlamento dovranno valutare con attenzione le specificità che giustificano le attribuzioni di nuove competenze alle regioni: non è possibile che competenze aggiuntive siano concesse a tutti, sempre e comunque. Ci sono 23 materie in cui è possibile chiederle, ma non credo che bastino le richieste dei soggetti interessati. Bisogna differenziare le differenze: le intese dovranno fondarsi sulle specificità proprie di ogni singola Regione che le giustifichino, di caso in caso. Altrimenti, rischiamo di stravolgere lo stesso dettato costituzionale. E anche le finalità della legge di riforma».


Parliamo di Roma. Non c’è il rischio di una desertificazione amministrativa della Capitale, se molte competenze passeranno dal centro alle Regioni? 
«Nella cultura politica e istituzionale della destra, e di tutto il centrodestra, non è stato mai concepito un processo autonomistico senza uno statuto forte per Roma Capitale. Sotto questo profilo, la presidente Meloni è sempre stata chiara: a Roma vanno dati i poteri e le risorse che spettano a una grande capitale europea. Il ruolo baricentrico della Capitale è garantito anche da una premier di destra, orgogliosamente romana e con una visione forte dell’unità della Nazione. Io credo questa “legatura” sia solidamente assicurata».


Ma se le competenze “migreranno” verso il Nord, non accadrà lo stesso con i funzionari che si occupano di gestirle?
«Comprendo la preoccupazione. Ma non siamo alla vigilia del trasferimento di ministeri al Nord. Come ricorderà, quel tentativo si rivelò un fuoco fatuo. La sede del Governo, le sue articolazioni e funzioni sono e resteranno nella Capitale». 


Si parla di un anno per portare a casa la riforma: basterà a sciogliere tutti i nodi?
«Siamo in un campo delicatissimo in cui il “fare bene” deve precedere il “fare presto”».
Conferma che la riforma andrà di pari passo col presidenzialismo e i nuovi poteri per Roma Capitale?
Non può essere diversamente. Giorgia Meloni lo ha dichiarato in più occasioni. Così è nel programma del centrodestra sottoposto agli elettori. Un governo di legislatura, espressione della sovranità popolare, non deve avere fretta, ma fare l’interesse degli italiani».

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA