Libero De Rienzo, ecco perché Fortapàsc su Giancarlo Siani è il suo capolavoro

Venerdì 16 Luglio 2021 di Riccardo De Palo
Libero De Rienzo, ecco perché Fortapàsc su Giancarlo Siani è il suo capolavoro

Il vero capolavoro della sua vita fu il film sul giovane giornalista Giancarlo Siani, ucciso sotto casa per le sue scomode indagini sulla camorra.  «Questo Paese ha bisogno di storie coraggiose», aveva detto Libero De Rienzo presentando il film di cui era protagonista, Fortapàsc (2009), diretto da Marco Risi, che gli valse una nomination al David di Donatello.

La storia di Giancarlo Siani (1959-1985) è emblematica per chi ancora crede in valori ormai dimenticati come la libertà di stampa e il diritto di cronaca.

Giornalista del “Mattino”, Siani - la cui storia viene raccontata in maniera abbastanza fedele nel film di Risi - fu ordinata dal boss Angelo Nuvoletta, per volontà dell’allora capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. A scatenare un simile odio omicida fu un articolo scritto da Siani il 10 giugno 1985, in cui Siani scrisse che l’arresto del boss della camorra Valentino Gionta era stato possibile grazie alla soffiata degli storici alleati Nuvoletta, che tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi. 

Cresciuto in una famiglia borghese del Vomero, Siani ebbe modo di partecipare ai movimenti studenteschi del ‘77, di appoggiare le battaglie del Partito radicale e di fondare il Movimento Democratico per il Diritto all'Informazione, assieme ad altri giornalisti. Cominciò a scrivere per l’organo della CIsl, “Il lavoro del Sud”, per poi approdare al “Mattino”, come corrispondente da Torre Annunziata.

 

Siani, le indagini sul crimine organizzato

La cronaca nera era il suo pane. Siani cominciò a indagare sul crimine organizzato a Torre Annunziata e dintorni, e a scrivere dettagliate inchieste, e fece scoprire un mondo di connivenze tra la politica e la camorra. In particolare, scoprì le carte di Valentino Oplonta, che da pescivendolo ambulante era diventato un importante boss locale. E rivelò le connivenze che si erano create all’indomani del terremoto in Irpinia. Ma fu un articolo in cui accusò il clan Nuvoletta a decretare la sua condanna a morte. Secondo Siani, l’alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della "Nuova Famiglia", volevano vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, ormai divenuto pericoloso e prepotente, per porre fine alla guerra tra famiglie.

Siani venne ucciso alle 20,30 del 23 settembre 1985 mentre stava rientrando a casa, nel quartiere napoletano dell'Arenella, mentre era ancora a bordo della sua auto scoperta, crivellato da dieci pallottole alla testa. Oggi Siani viene ricordato come un eroe della lotta al crimine organizzato, e il film interpretato da De Rienzo ne ha alimentato ulteriormente la leggenda. Il fratello di Siani, Paolo, lo definisce il film “più vicino e realistico” sulla tragica vicenda che ha colpito la sua famiglia.

E fa ancora oggi riflettere una frase del film pronunciata da Sasà (interpretato da Ernesto Mahieux): «Ci sono i giornalisti giornalisti e i giornalisti impiegati. I giornalisti giornalisti portano le notizie, gli scoop e non sempre si devono aspettare gli applausi della redazione perché le notizie, gli scoop sò ‘na rottur ‘e cazz’. Fann’ mal’, fann’ mal’ assaje. E dai retta a me questo non è un Paese per giornalisti giornalisti. Questo è un Paese per giornalisti impiegati.»

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Ultimo aggiornamento: 14:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA