Fosse per lui, basterebbe un solo biglietto da visita: "cronista". Per i colleghi, amici e non, Gian Marco Chiocci è anche di più. «Un parà dell'informazione». C'è un motivo se Giorgia Meloni non ha voluto sentire ragioni: «Al Tg1 voglio lui».
L'IDENTIKIT
Classe 1964, figlio d'arte - suo padre, Francobaldo, è stato un grande inviato di esteri del Giornale e del Tempo, generazione Fallaci - Chiocci ha fatto della notizia, nuda e cruda, il metro di misura di trent'anni di carriera giornalistica. E le notizie, quelle vere, non sono mai "lottizzate". Sono, questo sì, quasi sempre scomode agli occhi del potente di turno. Chiocci, che ora lascerà la direzione dell'Adnkronos, ne ha scomodati tanti e di ogni colore, da Massimo D'Alema a Gianfranco Fini, il "padre" politico (rinnegato) della destra che è entrata nel palazzo lo scorso settembre. Anni di gavetta e marciapiede hanno guadagnato a Chiocci la reputazione del cronista d'assalto. Un guaio per i politici, di più per tanti colleghi sempre guardinghi, in attesa del "buco" da "Gianma". I primi passi nella cronaca locale, alle Gazzette toscane di Longarini. Poi l'approdo al Tempo di Angiolillo, in Abruzzo, a Latina, Frosinone e le prime inchieste nella Capitale tra nera, giudiziaria, sport e sanità. Un breve passaggio a L'Informazione di Mario Pendinelli, siamo nei primi anni 90, finché Vittorio Feltri non lo chiama al Giornale nel 1994. Qui Chiocci resta vent'anni. E firma inchieste che gli cuciono addosso la nomea di uno dei giornalisti più querelati e temuti d'Italia. Dal caso Affittopoli, lo scandalo sulle case di enti previdenziali concessi a quattro soldi ai politici, che travolse l'allora segretario del Pds Massimo D'Alema, costretto a lasciare un immobile dell'Inpdap a Trastevere. Fino a vicende che hanno lasciato il segno sulla storia della cronaca giudiziaria italiana, dal crac Parmalat alla vicenda Mps. E ancora, le inchieste vergate su pagine oscure di quella storia, dal Niger-gate al caso Abu Omar, scandali che Chiocci ha scoperchiato contando su una fitta rete di fonti nel mondo della sicurezza e dell'intelligence. È dalle colonne del foglio fondato da Montanelli che il giornalista romano firma uno dei suoi scoop più noti: la casa "segreta" di Gianfranco Fini a Montecarlo. Fu l'inizio della parabola discendente dell'ex padre di An. Nel 2013 Domenico Bonifaci lo chiama a dirigere Il Tempo. A Palazzo Wedekind Chiocci fa un giornale corsaro che riesce a guadagnarsi i riflettori pubblici tra cronaca e satira (è lui a chiamare il vignettista Osho). Prime pagine a effetto, a tratti provocatorie (come quella che ha incorniciato "Mussolini uomo dell'anno"), all'insegna di un motto, «purché se ne parli», da cui un giornale non può mai davvero prescindere. Un direttore di quelli a cui "prudono le mani" per le notizie, a sentire i suoi. Sempre pronto a smontare e rimontare il giornale con i cronisti della giudiziaria seduti sul divanetto blu del suo studio quando spunta fuori una nuova carta, un'altra pista.
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