Cristina Nuti, la prima donna con sclerosi multipla a completare un Ironman: «Alex Zanardi mi ha insegnato a guardare oltre»

Il 3 luglio, a Klagenfurt, ha nuotato nel lago per 3,8 chilometri, pedalato per 180 chilometri e corso una maratona (42,195 chilometri).

Lunedì 11 Luglio 2022 di Claudia Guasco
Cristina Nuti, la prima donna con sclerosi multipla a completare un Ironman: «Alex Zanardi mi ha insegnato a guardare oltre»

Ci sono prove difficili e altre che sembrano impossibili da superare. «È quando ti diagnosticano una malattia neurodegenerativa cronica. Quando per mesi non sei più in grado di camminare e piangi dal dolore nel tornare a muovere i primi passi», racconta Cristina Nuti. Parlare dei suoi dolori non le piace, preferisce gustarsi le vittorie e l'ultima è un record: è la prima atleta in Italia (e probabilmente al mondo, statistiche non ne esistono) affetta da sclerosi multipla a tagliare il traguardo in una gara di Ironman.

Il 3 luglio, a Klagenfurt, ha nuotato nel lago per 3,8 chilometri, pedalato per 180 chilometri e corso una maratona (42,195 chilometri). Più che una disciplina sportiva è un supplizio, per lei un'occasione di fare i conti con quello che le vita le ha tolto e le ha dato: «Ho realizzato un sogno e adesso riparto con una consapevolezza in più. A Klagenfurt ho voluto portare il mio messaggio».

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DISCIPLINA
Cinquant'anni, milanese, una laurea allo Iulm e una all'Università degli Studi di Bergamo, un lavoro nel marketing di una multinazionale a cui aggiunge l'impegno in campo sociale, Cristina Nuti entra nella storia del triathlon con spirito di sfida. «Ho impiegato 14 ore e 39 minuti, contavo di metterci un po' meno ma per me equivale a una vittoria. È il risultato di impegno, disciplina, metodo e tanta forza di volontà», dice. E infatti anche ieri mattina si allenava in bici, «da gennaio ho saltato solo due giorni e mi sembrava un sogno, mi stavo quasi abituando». Nel 2008 le è stata diagnosticata la sclerosi multipla, da allora affronta una malattia «carogna», come la definisce lei, «difficile da identificare e gestire, un giorno ti senti un leone e quello dopo un budino». La sua passione per lo sport è nata per caso, con un po' di corsa nel 2016 «per affrontare un momento complicato, cambio di casa e di lavoro», un anno dopo ha partecipato alla sua prima maratona e non si è più fermata. Ne ha fatte nove in due anni e nel 2018 «ho deciso di alzare un po' l'asticella: vedevo i miei amici impegnati nel triathlon e la mia patologia trae benefici da questo tipo di allenamento, perché sollecita muscoli diversi».
La svolta è arrivata con Obiettivo3, l'associazione sportiva di Alex Zanardi per la quale è tesserata. «Mi ha chiamato Pierino Dainese, il team manager. Mi ha detto: Cristina vieni a Padova, facciamo un raduno, c'è anche Alex. L'ho conosciuto lì ed è stato un segno del destino». È stato Zanardi, ex pilota campione paralimpico sopravvissuto a un devastante incidente con la sua handbike nel 2020, a dare a Cristina la spinta che le serviva: «Mi ha insegnato a guardare oltre. È necessario spostare il focus dalla propria situazione e sentirsi vivi. In questo modo, ripeteva, quando torni a casa i tuoi problemi sono uguali ma li osservi con occhiali diversi».
Con questo viatico Cristina Nuti è arrivata fino a Klagenfurt e non nasconde di avere avuto un po' di paura. «Temevo l'incertezza delle mie condizioni, anche i professionisti possono avere malori, figuriamoci io. La frazione più difficile è stata il nuoto: ci è stato vietato di indossare la muta per non rischiare la disidratazione, ma io percepisco la temperatura in modo diverso e avevo freddo. Per tenermi d'occhio mi hanno dato una cuffia di colore diverso, gialla, e sono stata seguita a ogni bracciata da Robert, con il suo sup. Ci siamo conosciuti prima della partenza e mi ha dato tanta sicurezza». Poi la fatica della maratona, «mi sembrava di essere sempre al trentottesimo chilometro», e le lacrime di gioia al traguardo. «Volevo fortemente arrivare fino in fondo per portare il mio messaggio, che è l'allenamento alla fatica. Non importa se hai percorso un metro o cento metri, quello che conta è che tu l'abbia fatto al massimo delle tue possibilità. Magari chi è in sedia a rotelle mi dirà: facile, tu cammini. Ecco, io penso sempre a ciò che ha compiuto Alex». Dopo la sua impresa, Cristina ha ricevuto la telefonata di un papà che le chiedeva consiglio su come affrontare la diagnosi di sclerosi multipla della figlia: «La vita non finisce qui. Solo due anni fa la malattia sembrava una condanna alla carrozzina, ancora oggi la patologia è semi sconosciuta e fa tanta paura. Dobbiamo far sentire la nostra voce».

Ultimo aggiornamento: 14:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA