Cesare Cremonini: «A San Sirò un duetto virtuale con Lucio Dalla, lo porto dove merita di stare»

Partito il nuovo tour del cantante bolognese negli stadi. Ad applaudirlo anche Amadeus e l'ex Malika Ayane

Martedì 14 Giugno 2022 di Mattia Marzi
Cesare Cremonini: «A San Sirò un duetto virtuale con Lucio Dalla, lo porto dove merita di stare»

«Sono nato per fare gli stadi», dice Cesare Cremonini. Mentre si prepara a salire sul palco di San Siro a Milano ieri il suo tour negli stadi ha debuttato di fronte a 55.935 spettatori, sold out il 42enne cantautore bolognese sembra un bambino al luna park: «Porto in un contesto del genere una performance d'impatto, che spazia dal jazz al rock, passando per il cantautorato e il funk.

Ad occuparsi dell'audio ci sarà Antony King, fonico dei Depeche Mode. È pop che sa divertire, ma ambisce a essere una forma di cultura. Una cosa unica in Italia», assicurava prima di andare in scena. Arriva allo stadio milanese circondato da una corte adorante composta da manager, ufficio stampa, promoter. Sarà che il nome da imperatore che porta lo caratterizza. Il fatto di essere il primo italiano a esibirsi a San Siro dopo la pandemia lo fa sentire fin troppo responsabilizzato: «A Imola il 2 luglio per l'ultima data ci saranno 70 mila persone (domani sarà a Torino, il 18 a Padova, il 22 a Firenze, il 25 a Bari, il 28 a Roma: 300 mila biglietti venduti in totale, ndr). Numeri che fanno impressione, perché non sono un prodotto televisivo». Certo. Le vendite, però, hanno avuto un'accelerazione clamorosa dopo il passaggio a Sanremo.

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Si è ricreduto, sulla potenza della tv?
«Sì. Avevo bisogno di raccontare al pubblico televisivo la crescita che ho fatto nei vent'anni trascorsi dalla fine dei Lunapop. Mi sono riappacificato con quel mezzo. 14,6 milioni di spettatori hanno visto l'esibizione con Poetica: in due mesi ho venduto 95 mila biglietti».


Le piacerebbe avere un one man show tutto suo?
«Mi è stato proposto».


Dalla Rai?
«Sì. Ho preferito prendere tempo. Prima vengono i concerti».


Come li ha immaginati, quelli di questo tour?
«Porto dentro gli stadi un progetto artistico che aggiunga qualcosa allo stereotipo, per quanto meraviglioso, del grande abbraccio con il pubblico. Uno show visionario. Penso che il mio modo di calcare il palco possa essere influente. Io non mi reputo un cantante, ma un performer».

 


Che fa, se lo dice da solo?
«Sono nato così. Non c'è l'X Factor dove ti insegnano a stare sul palco. Vasco a Imola nel 98 segnò la mia crescita. Proprio a Imola farò il mio primo grande raduno».


I pro e i contro di arrivare a fare un tour negli stadi a 42 anni?
«La strada è stata lunga: un'audizione continua. A 23 anni, dopo i Lunapop, tornai a cantare nelle piazze, con il camerino dal barbiere. A 25 i teatri. A 30 i palasport. Non mi hanno mai regalato niente. Però nel frattempo ho accumulato un tesoro di canzoni invidiabile».


Modesto.
«24 canzoni su 26 della scaletta sono singoli: da 50 Special e Qualcosa di grande (torna in scaletta dopo vent'anni, ndr) a Chimica, passando per Il comico, Mondo, Logico. Se non avessi fatto qualcosa con dentro una scintilla sarei morto quindici anni fa. Il mondo della musica è spietato».


In che ambisce a fare cultura, negli stadi?
«Con un duetto virtuale con Lucio Dalla. Lo porto dove merita di stare. Un ologramma lo avrei trovato fuori contesto: abbiamo estratto la sua voce dal master originale di Stella di mare. E per i video abbiamo pescato dalle teche Rai. Mi sono ispirato al recente duetto fatto da McCartney con Lennon».


Il film su Dalla a che punto è?
«In stand-by. Ci lavorerò per un anno, dopo il tour».


Perché Stella di mare e non Cara o Futura?
«Non capisci se sta parlando di una donna, di un uomo, di Dio: ha dentro il segreto delle canzoni: l'ambiguità. Una grande canzone deve far accendere la fantasia. Era perfetta per questo tour visionario».

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