Carlo Verdone nuovo giudice sulla Rai: «Ora mi fermo e cerco i talenti della musica»

L'attore venerdì su Rai1: «Voglio individuare chi merita e offrirgli una vetrina. Ma non darò voti bassi»

Mercoledì 20 Aprile 2022 di Ilaria Ravarino
Carlo Verdone nuovo giudice sulla Rai: «Ora mi fermo e cerco i talenti della musica»

Il buono, il rock e il cattivo. La formula è sempre quella, da X Factor in giù. E Carlo Verdone, nell'inedita veste di giudice di talent, sa già quale personaggio gli toccherà interpretare: «Non sono una persona severa nella vita, figuriamoci in un talent - dice l'attore e regista romano, 71 anni - Sarò un giudice comprensivo.

Voti bassi non ne darò». Dietro al bancone di The Band, il nuovo show di Carlo Conti su Rai1 (da venerdì alle 20.30), Verdone dovrà decretare, insieme ai colleghi Gianna Nannini e Asia Argento, la migliore fra 16 band di musicisti non professionisti in gara, preparati ciascuno da un tutor diverso (Giusy Ferreri, Irene Grandi, Dolcenera, Federico Zampaglione, Marco Masini, Francesco Sarcina, Rocco Tanica, Enrico Nigiotti).

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Amante della musica e batterista amatoriale, Verdone spiega di essersi preso «un mese sabbatico dalla scrittura del nuovo film. Fra una settimana capirò quando partire con la seconda stagione di Vita da Carlo: intanto, col talent, provo qualcosa di nuovo».
Cosa cerca nelle band sul palco?
«Il talento. Sonorità particolari, arrangiamenti singolari. Vorrei individuare chi merita e offrirgli una vetrina. Il talento lo premio anche se c'è da aggiustare qualcosa».
Ha trovato i nuovi Maneskin?
«Magari. Quella è tutta un'altra cosa».
È vero che possiede migliaia di dischi?
«Ho due collezioni: un esercito di cd e più di 3500 vinili. Ho dovuto portarli nella casa in campagna, sono troppi. E poi ci sono gli autografi, da vero fan: Jimi Hendrix, Bruce Springsteen, Jimmy Page, David Gilmour, David Bowie...».
Come se li è procurati?
«Quando vado ai concerti mi faccio presentare: faccio dire che sono un regista che ama la musica, e che ogni tanto ne scrive. Ha sempre funzionato. Non mi ha mai detto di no nessuno».
Ha incontrato tutti quelli che voleva?
«Uno non potrò mai incontrarlo. Ed è quello con cui vorrei parlare più di tutti: John Lennon».
È vero che lei e Noel Redding (il bassista della Jimi Hendrix Experience, ndr) avete lo stesso dentista?
«Sì, Franco. Suonava con me al liceo. Un giorno nel suo studio si è presentato chissà come Redding. Gli era saltata una capsula, non sapeva come fare. L'ha pagato con un rotolone di soldi, stile hippie. Era timidissimo».
Carlo Verdone è rock?
«Abbastanza, ma con mentalità aperta. Amo i Led Zeppelin ma anche Crosby, Stills & Nash».
E nella vita?
«Non avrei mai potuto fare la vita della rockstar: poco sonno, sempre in giro, una vita sregolata, non fa per me. Ma ho sempre avuto grande ammirazione per i gruppi che hanno reso bella la mia giovinezza: Beatles, Cream, Pink Floyd».

L'inedito dei Pink Floyd (Hey Hey Rise Up, per l'Ucraina, ndr) l'ha sentito?
«Un brano simbolico. Discreto, diciamo. Ma dei Pink Floyd non c'è niente».
Suona la batteria: come mai?
«Alle elementari ero fissato con il cambio guardia al Quirinale, quando arrivava il tamburino dietro al plotone: quel suono metallico mi faceva impazzire. E poi mio padre, che era di Siena, mi regalò il tamburo della sua contrada, la Selva. La prima batteria l'ho avuta negli anni Sessanta. Oggi mi ritengo un batteristino della domenica».
La canzone che la commuove sempre?
«Il film della mia vita: A Day in the Life dei Beatles».
Usa anche le app per la musica o esiste solo il vinile?
«Uso molto Shazam al cinema, ai titoli di coda, se passa qualche brano che non conosco. Spotify lo uso poco. Le playlist preferisco farmele per conto mio. E poi sinceramente il rituale della puntina sul vinile non si batte».
Non è retorica?
«No. È pratica. Un esempio? Sulle copertine dei vinili potevi leggere in grande i nomi dei componenti del gruppo. Oggi non sai più chi sono. Non basta sapere come si chiama il cantante per avere una buona cultura musicale».
A maggio arriva la serie Disney sui Sex Pistols: il rock è morto?
«Oggi è tutto più semplice, anche nella fattura delle canzoni. Ti restano in testa giusto i tormentoni: roba come The Song Remains The Same dei Led Zeppelin non la fa più nessuno. Il rock come grande utopia, pace, amore e no alla guerra è finito. Il mercato è globalizzato. Il rock non è morto: è diventato popolare».

 

Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 21:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA