Uno dei misteri dello spirito umano è la sua inesauribile capacità creativa.

Sabato 10 Novembre 2018
Uno dei misteri dello spirito umano è la sua inesauribile capacità creativa. Ma ancora più inspiegabile è la sua manifestazione concentrata nel tempo. Artisti come Mozart, Schubert e Raffaello morirono giovani, e la loro produzione fu immensa: ma erano stati dei geni precocissimi, e la loro attività durò più di due decenni. Altri come Haydn, Michelangelo, Tiziano o Tintoretto furono ancora più fecondi, ma lavorarono fino alla tardissima età.
Uno solo creò tanti capolavori nel breve spazio di tre o quattro anni: Vincent Van Gogh. I suoi quadri oggi valgono, complessivamente, il bilancio di un piccolo stato: ma questa è un'osservazione banale e meccanica. La caratteristica inestimabile della sua opera risiede nella relazione tra una mente disturbata e la sua percezione della realtà, rielaborata in termini pittorici originali e quasi aggressivi. E noi ci domandiamo, increduli, come una personalità così eccentrica, ai limiti della schizofrenia, abbia potuto sondare le profondità della Natura e della psiche in un modo così radicale ed efficace.
La risposta forse non l'avremo mai; tuttavia possiamo cercare un criterio interpretativo. Questo aiuto ci viene ora offerto da uno straordinario libro di Marco Goldin, I colori delle stelle che racconta il tormentato rapporto instauratosi tra Van Gogh e Gauguin, quando quest'ultimo si recò ad Arles a trovare l'amico, vivendo con lui per un paio di mesi. Tutto il mondo conosce l'episodio grottesco dell'automutilazione del nevrotico olandese, che si tagliò un orecchio in preda a una crisi di rabbiosa irritazione. Ma nessuno aveva mai ricostruito con tanta accuratezza e competenza questo breve sodalizio che segnò il destino di entrambi gli artisti.
Marco Goldin è famoso in mezzo mondo per le mostre - sempre di grande successo - che ha organizzato, soprattutto sugli impressionisti. Ora ci affascina con questa rievocazione di vite parallele che si incontrano, si confrontano, litigano e si dividono. Gauguin, primitivo nella natura ma razionale nella composizione, Van Gogh romantico nel carattere e quasi mistico nelle aspirazioni. Lasciamo per un attimo la parola all'Autore: Per Vincent l'arte era una consolazione, quello doveva essere il suo fine. L'arte doveva salvare, il pittore essere un missionario, la sua parola diventare colore. Paul non sopportava questa visione così sentimentale. Per lui la pittura era stile, costruzione della forma associata al colore, non poteva esser pagina di diario, consumarsi dell'anima, disperazione raccontata nei quadri. Era inevitabile che due personalità così diverse entrassero in conflitto, per separarsi poi definitivamente.
IL RICOVERO
Gauguin partì per terre lontane, Van Gogh rimase, e fu ricoverato in un paio di cliniche. Entrambi, vissuti poveramente, entrarono presto nella leggenda degli impressionisti, anche se di impressionista avevano ben poco. Goldin non insiste sugli aspetti estetici della loro opera, preferisce raccontare lo svolgimento del loro rapporto e solo incidentalmente l'evoluzione del loro stile. Il risultato è quello che ogni critico dovrebbe proporsi: eccitare la curiosità di vedere da vicino questi capolavori, e di abbandonarsi all'estasi e alla riflessione. L'opera d'arte si gusta in silenzio, senza interferenze esterne: ognuno la interpreta secondo la propria sensibilità.
Il libro si chiude con un interessante capitolo: Con gli occhi del dottor Gachet. È una sorta di commento sulla personalità del paziente, fatta dal medico che lo aveva curato negli ultimi giorni, e che ne racconta, addolorato, la morte e le esequie. Non toglieremo al lettore il piacere di queste pagine facendone un modesto riassunto. Ma ci piace aggiungere una riflessione personale.
Van Gogh amava Rembrandt più di ogni altro pittore: non era solo questione di nazionalità e di tecnica compositiva. Credo dipendesse dal comune interesse ad analizzare la mente e il cuore degli uomini in tutte le loro combinazioni. Ora, guardando il ritratto del dottor Gachet (quello del Museo d'Orsay) si nota una straordinaria simmetria con il più commovente autoritratto di Rembrandt, quello del Reijkmuseum, nelle sembianze dell'apostolo Paolo. Confrontandoli in modo sinottico, vediamo lo stesso accordo di sentimenti diversi, e una dolente, quasi ironica rassegnazione alle vicende della vita. Rembrandt era stato devastato dai lutti e dalla bancarotta; Van Gogh dalla corrosione di una nevrosi progressiva. Credo che ritraendo il suo psichiatra, il paziente abbia descritto sé stesso, avvicinandosi, forse inconsciamente, alle conclusioni malinconiche del suo vecchio maestro. Magari non è andata così, ma ci piace pensarlo.
IL PERCORSO
Goldin è imparziale nel dedicare spazio e attenzione a entrambi i protagonisti, né si avventura in giudizi di preferenza, e fa bene. Per conto nostro, è ozioso domandarsi chi dei due sia stato più grande. Così come è improprio affaticarsi nel classificare l'uno o l'altro tra gli impressionisti o in qualche altra categoria: ci basti dire che contribuirono a completare quel percorso iniziato con Monet, volto a svincolarsi dai canoni accademici tradizionali per privilegiare la creatività e la sensibilità individuale. Entrambi ebbero dei precursori, e naturalmente dei successori, che dissero di loro quello che loro avevano detto degli altri: nell'arte, a differenza della politica, i rivoluzionari sono sempre considerati conservatori dalle generazioni successive.
I COLORI
I colori accesi e irreali di Van Gogh furono ripresi dai fauves, ed esasperati dagli espressionisti, come la compattezza rigorosa di Cezanne ispirò il cubismo di Picasso, finché la progressiva dissoluzione della forma generò l'astrattismo e l'action painting di Pollock. Lo spirito umano è sempre irrequieto, e quello artistico ripudia uno svolgimento disciplinato. Ma queste sono divagazioni tecniche. Quello che ci affascina, assai più dello studio analitico dell'artista, è il messaggio emotivo che trasmette: in questo senso, nessuno ha superato l'intensità introspettiva di Vincent Van Gogh dove anche la Natura diventa anima e sofferenza. Uno dei suoi ultimi quadri ci mostra un campo di grano con i corvi che si alzano in volo dopo un temporale. Non sono gli uccelli neri che migrano nel vespero, e che affascinarono il virile Giosué Carducci. Sono ossessivi presagi di morte, vista ormai come un inevitabile epilogo di una contraddizione insolubile e di un lacerante dolore. Dopo pochi giorni, Van Gogh si sarebbe sparato.
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