Un doppio killer con troppe banalità

Venerdì 11 Ottobre 2019
Un doppio killer con troppe banalità
Dai fratelli Lumière ad Ang Lee: la strada tecnologica della macchina cinema ha fatto passi da gigante, quasi inimmaginabili. Ma, dopo lo stupore del pubblico incolto per l'arrivo del treno a La Ciotat nel 1896, si è capito che i film dovevano raccontare qualcosa perché lo stupore finisce presto e al cinema si va per vedere soprattutto una storia, possibilmente ben costruita. E questo è il punto: la macchina tecnologica del film è tanto sofisticata quanto debole e confusa è invece la macchina narrativa. Andiamo con ordine. Sintetizzandola, la trama del film appare più accettabile di quanto sia: siamo nei dintorni del topos cinematografico del doppio con un sicario cecchino di estrema precisione, sorta di Deadshot, che ha deciso di abbandonare il mestiere di assassino. La scelta di Brogan, questo è il nome del personaggio interpretato da Will Smith, non è accettata dai suoi superiori che vogliono eliminarlo. Come fare, se lui è il miglior killer sul mercato? Solo il clone di Brogan (versione sintetica ringiovanita e quindi più efficiente) potrà eliminare Brogan.
Oltre al tema del doppio (e la solitudine del killer), qui si potevano insinuare anche altre cosucce come la liceità di un assassinio di Stato (a decidere l'eliminazione di Brogan sono funzionari statali) o la questione morale dell'eugenetica di esseri umani, ma sarebbe diventato un altro film, o forse proprio un film. Si rimane invece a galleggiare sugli stereotipi, con sviluppi psicologici dei personaggi di pura incoerenza (il clone, ad esempio), con semplicismi narrativi e un finale davvero goffo. L'intera storia e le singole azioni sembra siano al servizio dell'esperimento tecnologico. Indubbiamente è un'impresa ai limiti, una specie di portfolio di quanto si possa oggi creare al cinema. Ma alla nitidezza delle immagini non si accompagna quella della narrazione e lo stupore iniziale per la magia tecnica (in particolare del realismo del clone) un po' alla volta svanisce. In fondo, è sempre stato così: al cinema quel che conta veramente è quel che racconta.
Giuseppe Ghigi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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