Unica opera prima in Concorso all'ultima Mostra ha avuto l'incredibile clemenza delle Giurie che le hanno attribuito ben due premi: il Leone d'argento per la regia e il Leone d'oro del futuro appunto come film d'esordio. Un'esagerazione colossale, trattandosi di un film che convince poco.
Lo firma il 38enne francese Xavier Lagrand, si intitola L'affido e sembra già tutto vecchio. Invece in un contesto molto convenzionale è la storia di Miriam e Antoine, divorziati, che cercano di ottenere l'affido di Julien, il loro figlio più piccolo. Il padre, a detta della madre, è un uomo violento e pericoloso, ma i giudici stentano comunque a crederle. Una storia indubbiamente molto attuale, ma che nel film lascia solo spazio agli aspetti più gridati.
In un crescendo di tensione, si arriva a un finale dagli stilemi horror (una specie di situazione alla Shining, con madre e figlio terrorizzate dal padre armato), mentre il film costruisce un teorema della paura in una struttura ovvia, senza mai uno scatto di regia (appunto: anche l'altro premio grida abbastanza vendetta). E lancia, senza approfondirle, altre tematiche, come la scoperta di essere incinta da parte della figlia neo maggiorenne, che tutto sommato serve a poco all'economia del film, se non sviluppata, ma alimenta un clima di ossessione e paura, che sembrerebbe il motivo essenziale della messa in scena.
Certo il tema del diritto dei minori a essere protetti e salvaguardati resta importante, ma siamo lontani dall'eleganza di scrittura e regia di un Farhadi (quello di Una separazione) o dal simbolismo spinto dell'ultimo Zvyangintsev (Loveless), solo per fare qualche esempio eclatante e riuscito. Curioso, diciamo così, comunque che questo film sia stato abbondantemente premiato a Venezia: di sicuro la Settimana della Critica, come ogni anno dedicata soltanto a film d'esordio, ha presentato, nella sua sezione, opere prime ben più significative e interessanti e la sorpresa per la preferenza al film di Legrand ha lasciato la consueta scia di critiche.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA Lo firma il 38enne francese Xavier Lagrand, si intitola L'affido e sembra già tutto vecchio. Invece in un contesto molto convenzionale è la storia di Miriam e Antoine, divorziati, che cercano di ottenere l'affido di Julien, il loro figlio più piccolo. Il padre, a detta della madre, è un uomo violento e pericoloso, ma i giudici stentano comunque a crederle. Una storia indubbiamente molto attuale, ma che nel film lascia solo spazio agli aspetti più gridati.
In un crescendo di tensione, si arriva a un finale dagli stilemi horror (una specie di situazione alla Shining, con madre e figlio terrorizzate dal padre armato), mentre il film costruisce un teorema della paura in una struttura ovvia, senza mai uno scatto di regia (appunto: anche l'altro premio grida abbastanza vendetta). E lancia, senza approfondirle, altre tematiche, come la scoperta di essere incinta da parte della figlia neo maggiorenne, che tutto sommato serve a poco all'economia del film, se non sviluppata, ma alimenta un clima di ossessione e paura, che sembrerebbe il motivo essenziale della messa in scena.
Certo il tema del diritto dei minori a essere protetti e salvaguardati resta importante, ma siamo lontani dall'eleganza di scrittura e regia di un Farhadi (quello di Una separazione) o dal simbolismo spinto dell'ultimo Zvyangintsev (Loveless), solo per fare qualche esempio eclatante e riuscito. Curioso, diciamo così, comunque che questo film sia stato abbondantemente premiato a Venezia: di sicuro la Settimana della Critica, come ogni anno dedicata soltanto a film d'esordio, ha presentato, nella sua sezione, opere prime ben più significative e interessanti e la sorpresa per la preferenza al film di Legrand ha lasciato la consueta scia di critiche.
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