Tutte le virtù dello scopeton

Mercoledì 20 Novembre 2019
Tutte le virtù dello scopeton
Alfonso Sarno
Godereccio il popolo veneto ma, nello stesso tempo, ricolmo di religiosità sentita e sincera tanto da rispettare con grande compunzione i digiuni propiziatori o penitenziali prescritti dalla Chiesa. Una vera miriade, oggi drasticamente ridotti all'osso che facevano sì che i giorni di grasso venissero frequentemente interrotti da quelli di magro. Da 130 a circa 170 nel corso di un anno: oltre ai giorni dell'Avvento natalizio contemplavano anche l'intero periodo della Quaresima, - dal falò di Carnevale bruciato nelle piazze al sabato prima di Pasqua quando venivano sciolte le campane legate la sera del giovedì santo e suonate al Gloria per annunciare la morte e la resurrezione di Gesù Cristo le Quattro Tempora di primavera, estate, autunno ed inverno; le vigilie delle feste locali più importanti; i giorni di mercoledì, venerdì e sabato di ogni settimana, a cui se ne aggiunsero altri nel Cinque e Seicento per chiedere al Signore di scampare al flagello della pestilenza causata dalla fragilità umana predisposta al peccato. Da rispettare volenti o nolenti visto che i trasgressori rischiavano d'incorrere nelle punizioni comminate non soltanto dalle autorità ecclesiastiche ma anche da quelle civili e che potevano giungere persino alla condanna a morte. Pena estrema questa - voluta da Carlo Magno, primo imperatore del Sacro Romano Impero per coloro i quali avessero mangiato carne il venerdì nonostante lo stesso ne fosse un accanito consumatore, pretendendola a tavola ben 4 volte al giorno e di specie diverse, fino ad ammalarsi di gotta nonché conquistatore seriale di donne. Un rigore basato anche su motivazioni religiose per le quali il consumo eccessivo e continuo della carne favoriva la sensualità, inducendo le persone al peccato; per arginarlo nel giorno principalmente legato al digiuno ne venne vietata qualsiasi tipo di vendita dando così spazio alle verdure ed ai pesci, soprattutto, a quelli poveri ponendo le basi della cucina di magro.
A cui, per la verità, i veneti soprattutto delle classi sociali più povere erano da sempre abituati: gli ultimi tra gli ultimi, i poverissimi, che vivevano nella miseria più nera, servi malpagati dei nobili e dei monaci che abitavano i tanti, imponenti monasteri disseminati per tutta la regione. Avendo la dispensa di casa desolatamente vuota impararono a placare i morsi della fame con la fantasia: a loro si deve un ingenuo piatto che sa di poesia, ricordato in Novecento, il famosissimo e super premiato film del regista Bernardo Bertolucci ovvero l'aringa in dialetto lo scopeton - affumicata battuta, unico cibo alla portata delle loro tasche. L'abitudine, cioè, di strofinarla su di una fetta di pane per lo più di segale in maniera da poterne almeno mangiare, afferrare il profumo o, quando le cose andavano meglio appenderla con uno spago sopra al tavolo e strofinarla, per un attimo, con una fetta di polenta calda, insaporendola. L'aringa, apristrada alla fortuna di baccalà e stoccafisso che, scrive Paolo Monelli ne Il ghiottone errante, pubblicato nel 1947 da Garzanti i veneziani seppero valorizzare al meglio: Altri giochi fanno col baccalà: non si immagina che cosa sappiamo combinare con questo triste pesce borealeQui arriva secco, stoccafisso, stokfish, pesce bastone. Arlecchino prende il bastone, lo caccia nell'olio, nel latte, nella polenta, lo trasfigura, ne fa un cibo molle e degno de dar scacomato a tutte le pietanze, come cantò un oscuro ottecentista. Baccalà mantecato, baccalà alla veneziana: il poeta suddetto afferma che può comparire in trenta modi. Una fortuna di cui sono protagonisti le monache ed i monaci cucinieri decisi a mangiar bene, saporito anche nei lunghi classici periodi di magro, in cui non era possibile mangiare carne. Fantasiosi e furbi trasformarono il banale merluzzo in un piatto degno di comparire davanti al re, senza trasgredire ai divieti sacramentali creando ricette come il baccalà alla vicentina oltre a quelli ricordate da Monelli nel suo volume contribuendo alla storia dell'enogastronomia monastica che vede l'Italia protagonista insieme con altre nazioni di secolare matrice cattolica come il Belgio, la Francia e la Spagna.
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