Tre Cime, film dell'incanto

Mercoledì 3 Ottobre 2018
Tre Cime, film dell'incanto
IL PERSONAGGIO
Come si racconta la meraviglia? Giorni di sforzo immane per una manciata di minuti. Salite, chilometri macinati, fatica. In vetta con una piccola telecamera o sul portellone dell'airbus Falco 2, legati a corda con il rumore assordante e la parete a pochi centimetri. Nei luoghi dove salvezza ed errore sono a distanza fin troppo ravvicinata, dove le ore scorrono come secondi nel countdown della cosa giusta da fare, ottenere l'immagine sperata è spesso un atto di fede e di forza muscolare.
IL VIDEOMAKER
Per ritrarre le Tre Cime di Lavaredo, l'Oscar della bellezza, Giovanni Carraro ha dovuto ricalibrare la sua routine di videomaker autarchico: 5 telecamere, 3 a spalla, 1 in parete. Poi le go-pro mobili e il drone. Un anno di lavoro, 300 ore di montaggio per quarantotto minuti di scenari di straordinaria bellezza: nasce così il nuovo film dedicato alle Tre sorelle: un viaggio dritto al cuore del mistero e del fascino della montagna patrimonio Unesco con riprese in quota, e le voci di quanti hanno legato il proprio nome all'ascesa alle pareti dolomitiche. Insieme a Carraro, Andrea Cecchella (che da anni collabora alla redazione dei test nei documentari del videomaker trevigiano, e qui partecipa anche in veste di operatore in parete) e Mauro Dalle Feste (secondo operatore). Il risultato nessuno lo conosce.
LA PROIEZIONE
Come da copione, tutti vedranno il documentario per la prima volta domenica 7 ottobre al teatro Kursaal di Auronzo e poi il 13 ottobre al Teatro Comunale di Belluno per Oltre le Vette. Carraro è venuto a cercare il suo santo Graal a 3000 metri di quota. E per un documentarista si tratta di un'impresa nell'impresa. «Avevo già collaborato con il comune di Auronzo di Cadore per la catena umana sulle Tre Cime per Amnesty International: 6000 persone e un unico abbraccio lungo il perimetro della montagna» spiega infatti. Ed è stato proprio il video, cliccatissimo, a far nascere l'idea della commissione da parte del comune di Auronzo e del sindaco Tatiana Pais Becher. La narrazione prende le mosse dalle parole di una celebre viaggiatrice inglese dei primi Novecento, Reginald Farrer. «Appaiono quasi sfacciate tanta è la loro perfezione. Sembra di essere di fronte a un dipinto, talmente bello che è difficile descriverlo con le parole. All'alba, a mezzogiorno, al tramonto, le Tre Cime rivelano uno splendore che muta di continuo, senza mai tradire la loro bellezza».
IL DOCUFILM
Il docufilm parte dal Rifugio Auronzo e passa dalla chiesetta della Madonna della Croda, dove sorge il monumento dedicato a Paul Grohmann. Qui il protagonista dell'inserto culturale è la guida alpina emerita Gianni Pais Becher, ricercatore, scrittore e storico locale. La seconda tappa è il pianoro al margine dei Piani di Lavaredo, con l'intervento del geologo Gianluca Piccin che si sofferma sugli aspetti geomorfologici catapultando lo spettatore in un viaggio nel passato tra dinosauri e fossili e immagini in realtà aumentata a proposito della successione stratigrafica e della monumentalità tipica delle Tre Cime. Ma le tre dita rivolte al cielo più celebri d'Europa sono anche evocate nell'antica leggenda dei Croderes. poi gli spunti geologici e il particolare inedito.
«Pochi visitatori sanno che nel momento in cui percorriamo le Tre Cime, stiamo calpestando la placca africana» spiega infatti Carraro. Al Rifugio Lavaredo Carraro ci conduce alla forcella omonima per percorrere un breve tratto del sentiero attrezzato del Monte Paterno e raggiungere attraverso le gallerie un foro dal quale si osserva la Trinità delle Dolomiti. Prima di raggiungere il Rifugio Locatelli il gruppo di escursionisti assiste ad un intervento di Soccorso Alpino con l'utilizzo dell'elicottero del Suem 118. Due go-pro, una delle quali sul verricello dell'airbus mentre issa la barella e una sul casco dei soccorritori. Un drone pilotato dal rifugio Lavaredo e una videocamera in spalla, il regista gira assicurato con le corde sull'elicottero senza portellone, con al fianco le due dottoresse del Suem.
LA TESTIMONIANZA
«Ero imbragato come un salame, la parete di roccia a pochi centimetri dal mio naso, un rumore assordante, per non parlare della vertigine. Nessuno può davvero capire cosa sia un salvataggio in quota se non lo vive». Raccontare l'estremo può avere un prezzo molto alto: uno sforzo immane per pochi secondi. Le manovre, i tempi serrati, gli errori da scongiurare sono spiegati nel dettaglio dal capo stazione di Auronzo Giuseppe Zandegiacomo Sampogna e dall'istruttore nazionale Michele Zandegiacomo Mazzon.
Nuova immagine: un camino caldo, il silenzio e l'isolamento. Malga Mela: dentro Mauro Corona scrive a mano il suo ultimo libro. «Nel suo fortino sembra un Che Guevara a riposo, un Comandante Marcos fuori dalla battaglia, ma dentro il contesto». Si accalora Corona quando parla delle sue montagne tradite, abbandonate, lasciate al degrado o alla lotta di sopravvivenza dei singoli. «Quando gli ho parlato di Alziro Molin, Corona ha pianto». Perché se lo scrittore di Erto rappresenta il moderno intellettuale sauvage, Molin è stato il volto storico della denuncia allo spopolamento. Rocciatore e attore, faccia da primo piano del neorealismo a Nordest di Giuseppe Taffarel nel film L'ultimo contadino, Molin è stato tra i primi a dare carne e parole al grido della montagna dimenticata. Ancora oggi, con quella sua lingua tronca ed essenziale va ripetendo, con una semplicità mai passata di moda, che le Tre sorelle sono davvero le montagne più belle del mondo.
Elena Filini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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