«Tracciare una traiettoria storica della corruzione può risultare utile

Sabato 24 Febbraio 2018
«Tracciare una traiettoria storica della corruzione può risultare utile non tanto per constatarne la natura inestirpabile, quanto per cercare di capirne caratteristiche, meccanismi ed effetti, uscendo dal riflesso condizionato che si limita spesso all'indignazione impotente o al disinteresse qualunquistico». Con questo esordio programmatico, Carlo Alberto Brioschi nel suo libro La corruzione. Una storia culturale, ricostruisce la piaga che ci affligge da sempre. Gli siamo grati di un riassunto così significativo. Il libro è infatti di straordinario impatto pedagogico e meriterebbe di essere citato, come una catoniana delenda Carthago, ogni volta che si propone una legge contro la corruzione.
Si comincia dalle istruzioni di Dio a Mosè: «Non accettare regali, perché il regalo rovina le cause giuste», e, per restare nell'ambito religioso, si conclude con Giuda Iscariota e suoi trenta denari. Antico e Nuovo Testamento sono ricchi di episodi simili e di altrettanti anatemi, ma il mondo laico e pagano non era da meno. Esiodo rimpiange - con la petulanza dell'ìlluso - l'età dell'oro «in cui gli uomini non erano mossi dal vergognoso desiderio di guadagno». Demostene flagella il re Filippo con le sue giaculatorie, ma è lui stesso accusato di appropriazione indebita, condannato e costretto alla fuga. Filosofi e poeti predicano invano: Menandro si lamenta che «il denaro apre tutto, anche le porte di bronzo» e Paflagone, colto con le mani nel sacco, si difende così: «Rubavo per lo Stato». Una giustificazione che ci ricorda la nota distinzione tra chi ruba per sé stesso chi per il partito. Ne esce bene solo Callicrate, generale spartano, che rifiuta una cospicua mazzetta. «Se fossi Callicrate avrei accettato», commenta Cleandro. E Callicrate secco: «Anch'io, se fossi stato Cleandro». Nemmeno a Roma va meglio.
Catilina e Verre sono nomi dannati dal loro illustre accusatore, ma neanche i moralizzatori vengono risparmiati: Tacito e Seneca accettarono favori e raccomandazioni, si da ispirare a Marco Aurelio la famosa frase che «la corruzione dell'intelligenza è più pericolosa di quella ambientale». Quanto allo scambio di voti e ai finanziamenti connessi, Quinto Cicerone scrive un Manuale del candidato e patrocina i banchetti elettorali.
Con l'avvento del cristianesimo la corruzione cambia pelle ma non sostanza. A fronte di un severo Sant'Agostino che condanna anche i «presenti di ospitalità», campeggia una progressiva attività simoniaca che culmina con Bonifacio VIII, supera ogni limite con Alessandro VI e deflagra con la protesta di Lutero esasperato, come i suoi concittadini, dalla venalità e dalla scelleratezza di Roma.
PROTESTANTI
Tuttavia i protestanti, calvinisti, luterani, e anglicani cedono alle stesse tentazioni. Francis Bacon (il filosofo) incassa tangenti e se ne vanta, Robert Walpole viene colto in flagrante ed è espulso dal Parlamento, persino Franklin e Jefferson, nella puritanissima America dei padri pellegrini, sono sospettati di irregolari regalìe. Ma l'Europa mantiene questo triste primato. Fouquet si dice convinto che tutto si compra, anche il destino, Richelieu e Mazzarino accumulano fortune enormi. Cecil Rhodes adotta il principio che «ciascuno ha il suo prezzo», in Francia fiorisce persino il mercato delle decorazioni, e lo scandalo del Canale di Panama manda sul lastrico migliaia di risparmiatori. Il secolo XX supera tutti gli altri per nefandezze in intensità ed estensione, e si conclude con la nostra tangentopoli. Il resto è cronaca. Esausto, dopo questo inesauribile catologo di vizi e di miserie, il lettore si domanderà se la corruzione sia connaturata alla nostra indole di incorreggibili egoisti. La risposta dell'Autore è di un realismo moderatamente ottimista: «il fenomeno è eterno quanto inestirpabile» tuttavia, se non può essere eliminato, può almeno essere contenuto. Ma come?
Brioschi indica alcuni vie: la dissuasione giudiziaria, attraverso processi più rapidi e pene più certe; un progressivo ritiro dello Stato dalla gestione eccessivamente dirigista dell'economia; la separazione delle funzioni di indirizzo da quelle operative, sul modello del city manager americano; una più intensa attività di controllo da parte dei media, dalla cronaca fino alla satira; e naturalmente una maggiore educazione civica. Sono «palliativi o cure omeopatiche conclude l'Autore - che possono assisterci nel contenere il fenomeno».
Commento. Il grande pregio di questo libro è affrancare le anime candide dall'infantile pregiudizio che la corruzione sia un fenomeno esclusivamente moderno o, peggio ancora, esclusivo del nostro Paese. Ora, noi non sappiamo se la nostra natura sia condizionata dalla nostra origine ferina, come sostiene Darwin, o dalla macchia del peccato, come insegna Agostino. Sappiamo tuttavia che essa è imperfetta, violenta ed egoista, e che tra i suoi vizi indelebili, assieme alla cattiveria e alla stupidità, prospera anche la corruzione.
ERUDITO
Siamo dunque riconoscenti a Brioschi di avercelo ricordato con un riassunto erudito di esempi significativi. Malgrado questo gravoso fardello i costumi si sono ingentiliti, e la forza della legge ha assistito, con risultati più o meno soddisfacenti, la loro evoluzione positiva. Punire l'assassino, il ladro o il corrotto, significa dimostrare che lo Stato esiste, e protegge, o si prefigge di proteggere, le persone oneste. In questa prospettiva, i rimedi indicati da Brioschi sono tutti necessari. Tuttavia si inseriscono nell'indirizzo tradizionale, che non ha dato, come riconosce lo stesso autore, risultati esaltanti. O meglio, non li ha dati da noi. Perché? Per il motivo - se posso aggiungere alle tante una citazione indicato da Tacito: «Corruptissima republica, plurimae leges». Più la repubblica è corrotta, e più leggi sforna; e tanto maggiore è il loro numero, tanto più la Repubblica è corrotta. Un numero spropositato di norme che si contraddicono tra loro, conferisce infatti a chi le maneggia un potere discrezionale che sconfina nell'arbitrio, e gli consente di vessare l'interlocutore chiudendogli le porte in faccia, finche non è costretto a ungerne la serratura.
NUOVO APPROCCIO
Un nuovo approccio alla lotta alla corruzione non deve dunque limitarsi a punire o intimidire il suo autore: serve a poco, e forse a niente, come si è visto in duemila anni di storia. Occorre disarmarlo. Cioè togliere o almeno smussare - gli strumenti che gli consentono queste porcherie. E questi strumenti sono le leggi numerose e pasticciate, che ne fanno un tirannico sovrano. Brioschi dice che la corruzione è inversamente proporzionale all'istruzione. È vero. Ma è ancor più vero che è direttamente proporzionale al numero delle leggi. In Italia sono dieci volte il resto del Nord Europa. Non è un caso che i Paesi baltici siano dieci volte meno corrotti di noi. Se dunque dovessi suggerire un supplemento di omeopatia, direi di semplificare il nostro sistema normativo, con una più definita individuazione delle competenze e una semplificazione delle procedure. Senza ovviamente farsi troppe illusioni, e tantomeno senza rimpiangere un aureo passato mai esistito. Come recita l'Ecclesiaste: «Non chiederti mai perché i tempi di una volta fossero migliori, perché è una domanda cretina».
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