Tra pochi giorni, il 21 Gennaio, ricorrerà il settantesimo anniversario della

Sabato 18 Gennaio 2020
Tra pochi giorni, il 21 Gennaio, ricorrerà il settantesimo anniversario della morte di Eric A. Blair, meglio noto come George Orwell, scrittore, saggista e combattente indomito per la libertà. Lo onoriamo anche per rievocare il suo romanzo 1984, nella speranza che il principale protagonista, Il Grande Fratello, riprenda il suo connotato originale, dopo essere stato mortificato da una nota serie televisiva.
Orwell era nato in India il 25 Giugno 1903: suo padre era un civil servant, mentre la madre discendeva nientemeno che dal conte di Westmoreland, un personaggio ricorrente nei drammi shakespeariani. Non erano ricchi, e così il giovane presto dovette guadagnarsi da vivere. Dopo aver studiato in vari collegi religiosi inglesi, si arruolò come poliziotto in Birmania: la prima esperienza gli fece perdere la fede in Dio, la seconda in quella dell'Impero Britannico.
Orwell vide infatti nell'intero colonialismo europeo un'intollerabile oppressione, e cominciò a maturare idee rivoluzionarie. Dimessosi dalla carica, si trasferì a Parigi dove frequentò i circoli più radicali, e nel 1936, si unì alle Brigate Internazionali di ispirazione marxista nella lotta contro Francisco Franco durante la guerra civile spagnola .
I NEMICI
Lì si accorse cosa fosse il comunismo: una Chiesa egemonica che eliminava spietatamente non solo i nemici, ma soprattutto chi combatteva dalla sua stessa parte: anarchici, trotzkisti, dissidenti. Ripudiò disgustato quella ideologia sanguinaria, e abbracciò la causa del socialismo riformatore: tornato buon patriota, nel 1940 entrò nell'esercito territoriale. Intanto la sua salute declinava, e nel marzo del 45 gli moriva la moglie.
Tra una disgrazia e l'altra, e tra una serie sterminata di articoli, romanzi e saggi letterari, pubblicò in quello stesso anno il suo primo capolavoro: La fattoria degli animali, dove tutte le bestie sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre. Era la prima satira contro Stalin e la sua dittatura., Fu un grande successo, che gli rese fama e benessere. Non tutti comunque capirono che dietro l'allegra cooperativa agricola si rappresentava la tragedia di un paese avvilito dal bolscevismo più ottuso.Quattro anni dopo la stessa requisitoria fu pronunciata con maggior vigore in una ben più lugubre ambientazione.
Orwell pubblicò 1984 rappresentando con un angosciante realismo l'inferno della Russia sovietica, dove l'opprimente controllo dei sudditi si estende fino alla radice del loro pensiero. Su tutti e tutto vigila il Grande Fratello l'occhio del partito che individua immediatamente non solo la manifestazione ma anche la concezione di un minimo dissenso. Il protagonista Winston Smith, che ironicamente reca il nome del più illustre statista inglese e il cognome più anodìno, è uno di questi controllori governativi, che cade comunque, anche lui, nella rete del sinistro e untuoso O'Brien, l'inquisitore onniveggente.
Accusato di deviazionismo controrivoluzionario, Smith è interrogato nella stanza 101, una delle più geniali invenzioni di Orwell. La 101 non è infatti una comune cella di torture con ferri acuminati, fruste e tenaglie roventi, mezzi grossolani ai quali qualche coraggioso può anche resistere. È invece strutturata secondo le paure di ogni singolo indagato: se teme i topi ci sono i topi, se è claustrofobico c'è un baule, e così via. Alla fine cedono tutti, compreso il povero Smith, e il libro non ha un lieto fine.
È però una consolazione constatare che quel regime crollò nel 1989, cinque anni dopo il momento in cui Orwell ne aveva ambientato l'apice della potenza. Il romanzo fu subito compreso per quello che era, e la reazione dei comunisti fu violenta ai limiti dell'isteria. In Italia il segretario del PCI, Palmiro Togliatti, esercitava sul partito un potere regale, ma lo esercitava, per usare un'espressione di Tacito, con l'istinto di uno schiavo. Servilmente sottomesso a Giuseppe Stalin, il nostro migliore piegò la sua indiscussa intelligenza al catechismo moscovita, e sibilò i suoi rancori sulla rivista Rinascita definendo Orwell come un poliziotto coloniale, e una freccia dell'arco sgangherato di una cultura borghese. Con qualche esitante e tardiva eccezione, il nostro sinistro conformismo culturale accettò il diktat della chiesa madre e del suo nunzio alle Botteghe Oscure, ignorando o dileggiando questo capolavoro, che Le Monde inserì tra i 100 migliori romanzi mai scritti. Ma i comunisti avevano le loro buone ragioni.
LA REPRESSIONE
Benché 1984 sia una spietata requisitoria contro ogni forma di totalitarismo, compreso quello capitalista quando tende a monopolizzare l'informazione, il suo bersaglio più evidente è la tirannide sovietica, che già aveva collaudato la stanza 101 durante le purghe dell'anteguerra e presto l'avrebbe estesa ai paesi satelliti dell'Europa Orientale. In effetti i metodi dell'inquisitore O'Brien son quelli tipici delle dittature fanatiche, che non mirano solo alla repressione del nemico ma alla sua conversione forzata, facendogli accettare o addirittura invocare una sanzione purificatrice.
Leggiamo alcuni esempi dei famigerati processi degli anni 30 contro gli scomodi ex compagni dell'Armata Rossa. Ecco l'autoaccusa di Bucharin «Non mi difendo. Sono uno spregevole fascista, un traditore della patria». E Kamenev: «Questa è la terza volta che mi trovo di fronte a una corte proletaria... Due volte la mia vita fu risparmiata, ma vi è un limite alla magnanimità del proletariato, e questo limite è stato raggiunto». Superfluo dire che queste confessioni erano state estorte con le torture più raffinate. Orwell l'aveva capito, quando ancora in Europa nessuno ne parlava, con la lungimirante intuizione degli artisti.
LA MANIPOLAZIONE
Fa parte delle ironie della storia - la quale, secondo la citatissima frase di Marx , rinnova le sue tragedie sotto forma di farsa - che l'originale invenzione del Grande Fratello sia stata ora convertita in una sorta di voyerismo sciatto e banale. Non solo. Oggi l'invasività della rete ha riprodotto, attraverso le fake news, quella manipolazione della realtà che non necessita nemmeno dell'occhiuta vigilanza dell'oppressore, e tutti siamo influenzati dall'arida omogeneità dei luoghi comuni. Per questo la lezione di Orwell è più attuale che mai.
Anche senza ricorrere alla violenza e alla tortura, corriamo il rischio di rinunciare al pensiero critico per abbandonarci a una pigra e passiva ricezione di suggestioni. Winston Smith perse la sua battaglia per una irresistibile sopraffazione fisica e mentale. Noi siamo ancora in tempo a vincerla, se ci convinciamo che il peggior nemico dell'uomo, più ancora che la cattiveria, è la rassegnazione alla stupidità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci