Serenissima, la gloria e una inesorabile fine

Sabato 24 Ottobre 2020
LA STORIA
Bisognava essere forti davvero per arrivare quasi al punto di essere cancellati per sempre dalla carta geografica e invece rialzarsi in piedi e riuscire a sopravvivere, per di più diventando quel ricettacolo di arte e di bellezza che è stata la Venezia del Cinquecento. Ne parla La Serenissima contro il mondo. Venezia e la Lega di Cambrai 1499-1509, il secondo della serie di quattro volumi Le grandi battaglie della Serenissima, scritti da Federico Moro ed editi in collaborazione con la goriziana Leg. È in vendita da oggi, sabato 24 ottobre, al prezzo di 7,90 più il quotidiano.
LA GLORIA
In quegli anni cruciali Venezia raggiunge il massimo dell'espansione in terraferma e subito viene ricacciata indietro, fino al punto di metterne in discussione l'esistenza. Nel 1508, Venezia raggiunge la sua massima espansione territoriale, umiliando le truppe di Massimiliano I d'Asburgo nella battaglia del Cadore, o di Rusecco (combattuta il 2 marzo, sotto la neve) e conquistando Pordenone, Gorizia, Postumia, Trieste, Fiume e Pisino. Sembrava che niente e nessuno potesse fermarla. Bartolomeo d'Alviano, il vice comandante delle truppe di terra, ovvero colui che aveva guidato l'offensiva, viene festeggiato con un banchetto che rimarrà nella storia: arrivano in tavola arditissime sculture di zucchero che riproducono le città da lui conquistate (il comandante supremo, Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, era rimasto a guardia dei confini nella parte occidentale dello Stato da Tera). Arrivati all'apice, comincia la curva discendente.
LA DISCESA
Gli stati europei si spaventano per lo strapotere dei veneziani e si alleano a Cambrai infliggendo una solenne batosta alla Serenissima. «Le sconfitte di Agnadello, maggio, e Polesella, dicembre, la mettono in ginocchio. Sembra davvero sul punto di scomparire. Grazie ai suoi immensi mezzi finanziari e a un'incredibile energia morale, riesce a rialzarsi e sopravvivere», osserva Federico Moro. Il percorso di uscita è lungo e accidentato: «Non ripeterà, però, quanto riuscitole dopo la Guerra di Chioggia nel 1381: stavolta non ci sarà più una spettacolare ripresa, perché viene a mancare la linfa del commercio e lo Stato da Màr, invece di rappresentare una risorsa per la Dominante, diventa un fronte da presidiare e difendere. In più, lo Stato da Tera è devastato e impoverito, come ogni territorio diventato campo di battaglia». La pace di Noyon, che chiude la guerra di Cambrai, è del 1516, ma ci vorrà ancora qualche anno perché la situazione torni pienamente tranquilla.
IL COLPO FINALE
«Agnadello rappresenta uno spartiacque», scrive Moro nelle conclusioni del libro, «esistono un prima e un dopo. Sino alla mattina del 14 maggio 1509 la Serenissima ha la forza materiale e morale per affrontare qualunque sfida. Alla sera di quella giornata l'ha persa. Questo le impedirà in futuro di affrontare le minacce emergenti. Con ostinazione proverà a schivarle e, quando proprio verrà trascinata nel confronto, cercherà sempre l'aiuto di qualcuno. Il quale, il più delle volte le sarà negato o fatto pagare a carissimo prezzo».
«Il colpo finale le viene assestato dalla trasformazione intervenuta nel frattempo nella società civile e in particolare nella sua classe dirigente. La cultura marittima alla radice delle fortune della repubblica ha ceduto il passo a quella agricola e della rendita fondiaria. Da qui la necessità di una difesa della terraferma che diventerà assai impegnativa e costosa, assorbendo risorse crescenti. Venezia slitta dal ruolo di grande a quello di potenza di second'ordine con l'unico obiettivo di sopravvivere. In qualunque modo. Inizia la decadenza», sottolinea Federico Moro.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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