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(...) secondo le previsioni dell'Economist quest'anno

Martedì 7 Aprile 2020
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(...) secondo le previsioni dell'Economist quest'anno vedrà la propria economia contrarsi del 6% e che già conta più di centomila contagi. All'Europa saranno necessari non meno di duemiladuecento miliardi di dollari: questa è, del resto, la cifra che una settimana dopo l'arrivo della pandemia negli Stati Uniti ha stanziato il Congresso americano lanciando un piano di una dimensione che sarà, almeno, doppia di quella mobilitata per far fronte alla crisi che, nel 2008, rischiò di far morire il sistema finanziario mondiale di scarsa liquidità. I diversi governi stanno già varando misure impegnative e, tuttavia, tutto diventa meno efficiente se le misure non sono coordinate. Impossibile se alla crisi sanitaria si aggiungesse una liquefazione dell'Unione che nessuno può più escludere. In questi giorni fioriscono ipotesi su come finanziare l'intervento comunitario, da parte di economisti diversamente arruolati nei due eserciti che si affrontano nell'interminabile guerra di trincea tra formiche nordiche e cicale mediterranee che, da decenni, ha bloccato l'Europa nell'inerzia. E, tuttavia, non è né il Meccanismo Europeo di Stabilità, né la Banca Europea degli Investimenti e neppure la costruzione di nuovi strumenti che può fornire la soluzione. Il primo solleva non solo in Italia tensioni che sono, probabilmente, esagerate ma che, comunque, sono riconducibili alla sua natura nuova: sovranazionale e, persino, parzialmente indipendente dalle volontà degli Stati. Il suo mandato è, poi, esplicitamente quello di fornire assistenza finanziaria a Paesi della sola area euro (laddove l'emergenza in corso investe anche gli otto Stati dell'Unione che non aderiscono alla moneta unica), la cui stabilità finanziaria è in pericolo e sulla base di condizioni strette alle quali i Paesi in difficoltà devono aderire (articolo 136 del Trattato sulla base del quale l'Unione funziona). Dovrebbe essere ovvio che non è questo il momento di entrare in difficilissime discussioni su quello che è un meccanismo pensato per rispondere a crisi assai diverse da un'emergenza che non è né immediatamente finanziaria e, neppure, limitata ad un solo territorio. Diversa ma analogo il discorso per la Banca Europea degli Investimenti. I suoi obiettivi sono quelli di finanziare lo sviluppo equilibrato dell'economia europea e delle sue regioni meno sviluppate e, dunque, diversi da quelli imposti da uno shock di queste proporzioni. Mentre appaiono troppo lunghi i tempi della creazione di un nuovo fondo per la rinascita come quello proposto dal Commissario europeo per l'Economia, Paolo Gentiloni e quello per il Mercato Interno, Thierry Breton. E allora? Resta solo l'ipotesi di gran lunga più realistica ed ambiziosa. L'unica che avrebbe l'effetto di trasformare l'ora più buia dell'Europa, nella possibilità per l'Unione di affrancarsi del peccato originale che, sin dall'inizio, ne ha determinato la fragilità. La Commissione, l'organo esecutivo delle istituzioni, quello con più risorse tecniche e manageriali (anche se, da tempo, in crisi di motivazione) potrebbe trovare nella crisi, l'occasione per ridefinire il suo ruolo. È la Commissione che potrebbe ricorrere ai mercati per emettere una o più corona bond di grandi proporzioni, beneficiando la valutazione massima che gli è attribuita dalle agenzie di rating, di interessi minimi ed evitando - anche ai Paesi più forti - un ulteriore indebitamento (cosa che non succede per uno schema come quello lo sure - che la stessa Commissione sta proponendo per supportare gli Stati nel proteggersi dalla disoccupazione). La Commissione ha già raccolto, per conto dell'Unione, circa 25 miliardi fatto in passato per finanziare il Meccanismo europeo di stabilità finanziaria, e, tuttavia, lo scopo sarebbe stavolta completamente diverso: rispondere ad una catastrofe naturale che è oltre il controllo dei singoli Stati, come è previsto dall'articolo 122 dei Trattati. Il paradosso è che occorre, ora, da parte del Consiglio europeo una visione completamente diversa da quella espressa da Ursula Von der Leyen che della Commissione è il capo. Il documento su come vorrebbe far usare dagli Stati nazionali per rispondere all'emergenza fino all'ultimo euro del già povero bilancio della Commissione, sta, di fatto, annunciando una resa incondizionata, laddove è di più Europa, con maggiore leadership che abbiamo bisogno. La Commissione assumerebbe, dunque, un compito non solo finanziario. Essa andrebbe, progressivamente e in attesa di ratifiche successive, ad occuparsi di un coordinamento delle azioni di rafforzamento dei sistemi sanitari e logistici, di condivisione di dati (oggi assolutamente non comparabili e, dunque, poco utili) e di esperienze che sono vitali a tutti per vincere questa guerra. Quella contro un mostro, che si è ingigantito attraversando il confine tra Germania, Austria ed Italia.
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