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(...) della qualità e della effettività della

Giovedì 13 Agosto 2020
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(...) della qualità e della effettività della democrazia (in Polonia e Ungheria). Insomma siamo ben lontani da quelle rappresentazioni molto schematiche, un po' alla Freedom House, ereditate dalla fine della Guerra fredda e dall'euforia legata al crollo dei sistemi comunisti. Regimi democratici e regimi autoritari sembrano condividere lo stesso affaticamento di fronte alle proprie cittadinanze, un affaticamento legato sostanzialmente a due questioni cruciali per qualunque società in qualunque epoca storica: a) la capacità e possibilità di ogni popolo di autodeterminarsi, cioè di poter decidere del proprio futuro e stabilire chi sia incluso e chi sia escluso dal corpo politico e sulla base di quali criteri; b) la relazione tra il regime politico e l'assetto socio-economico, ovvero quanto le istituzioni politiche favoriscono od ostacolano le prospettive di reddito e il tenore di vita del maggior numero dei cittadini.
È invece un'altra la suggestione che arriva dalla fine della Guerra Fredda. Dovremmo cioè ricordare che i sistemi comunisti caddero proprio per non aver saputo fornire risposte adeguate a tali domande e come il tracollo del socialismo reale screditò lo stesso ideale del socialismo: così da chiederci se, oggi, le evidenti iniquità delle nostre democrazie reali non rischino di mettere a repentaglio la stessa attrattività dei principi e degli ideali democratici. Chi oggi si azzarderebbe più a parlare di fine della storia, del fatto che la combinazione realizzata tra democrazia rappresentativa ed economia di mercato costituisca il punto di arrivo nella ricerca dell'ordine politico-sociale più desiderabile? La risposta è nessuno, ovviamente: perché se una cosa abbiamo sperimentato a partire dal 1989 è il deterioramento della qualità delle democrazie nella loro capacità di rispondere alle richieste di autodeterminazione ed equità dei propri cittadini.
Oggi i nostri sistemi sono percepiti e sono meno equi e meno sovrani rispetto a trent'anni fa. Colpa della globalizzazione? No, semmai colpa del fatto che abbiamo smesso di ricordare che i contenuti della democrazia devono evolvere, affinché i principi della democrazia possano rimanere immutabili. Ma sembra che ce lo siamo dimenticati, anche in Italia, la Patria di Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, in un Paese sempre pronto a rivendicare presunte specificità e mai conscio abbastanza di quanto le sfide da fronteggiare siano comuni a tutti gli altri, mentre semmai di originale ci sono solo le non-soluzioni proposte.
Il paradosso è che le democrazie (realizzate) vincenti negli anni '80 contro il socialismo (realizzato) erano ancora il risultato della loro trasformazione postbellica, della convergenza inedita tra diritti politici e diritti economico-sociali, del livellamento delle disuguaglianze, della riduzione dei privilegi precedenti e conseguenti al mercato. Questo le aveva rese forti e attrattive. La stagione del Welfare State (Stato del benessere', altro che assistenziale') aveva costituito un gigantesco sforzo di riformulazione inclusiva dei contenuti della democrazia, un rinnovamento che le aveva fornito nuovo slancio e vitalità. Oggi, ridefinire i contenuti della democrazia è la grande sfida che abbiamo di fronte, il solo modo per rispondere alle preoccupazioni circa l'autodeterminazione e il tenore di vita che proviene dalle nostre società. È esattamente ciò che occorre fare se vogliamo evitare che la difesa ottusa, o interessata, dell'ultima variante di democrazia realizzata trascini verso il baratro anche la categoria più generale di democrazia, esattamente come avvenne trent'anni fa con il socialismo reale rispetto all'ideale del socialismo.
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