«Se i politici se la prendono con gli intellettuali, sbagliano»

Sabato 21 Luglio 2018
«Se i politici se la prendono con gli intellettuali, sbagliano»
L'INTERVISTA
Ospite di Pordenonelegge, in programma dal 19 al 23 settembre, il giornalista, storico ed editorialista Paolo Mieli terrà venerdì 21 settembre, alle 18 al teatro Verdi di Pordenone, una lectio magistralis sul tema della Libertà di stampa.
Un incontro per rileggere il caso Fallaci che sul piano personale e professionale si inserisce perfettamente nell'eterna questione della libertà di stampa. (il 22 settembre Mieli sarà anche protagonista del dialogo con Antonio Scurati alle ore 11, in piazza San Marco), legata anche alla recente decisione del ministro degli Interni Matteo Salvini di querelare lo scrittore Roberto Saviano.
«Il conflitto con i politici c'è sempre stato - osserva Mieli - ma questi dovrebbero sapere che denunciare un giornalista o un intellettuale, se non per un fatto reale, è una mossa controproducente e stupida. È compito dei giornali e degli intellettuali essere critici verso i politici, che dovrebbero riflettere su ciò che viene detto, fatto salvo la libertà di prendere le decisioni che ritengono giuste. Accadde anche a Giolitti esser attaccato da Gaetano Salvemini, ma non prese certo provvedimenti».
Giornalista scomoda con il potere fu anche Oriana Fallaci... «Certo e non solo in Italia, ma a livello mondiale. Eppure tutti i potenti, da Khomeini a Kissinger, dal leader cinese Deng Deng Xiaoping ad Arafat accettarono di esser intervistati da lei perchè le interviste compiacenti passano inosservate, quelle aggressive permettono all'intervistato di rispondere con argomenti agli attacchi subiti. Oriana era una giornalista che andava controcorrente, ma accettava il confronto. Anche ne La Rabbia e l'Orgoglio ha lanciato per prima un allarme sul mondo islamico che faceva riflettere».
Oggi i giornali faticano ad affermarsi come fonti credibili e autorevoli, spesso molti italiani preferiscono non leggerli parlando di disinformazione. Come mai?
«A rendere autorevole un giornale è la capacità di criticare un personaggio ammettendo anche che alcune posizioni o scelte siano giuste. Negli Stati Uniti i giornalisti sono ostili a Trump, ma gli riconoscono anche i meriti come l'aver favorito il dialogo tra le due Coree. L'autorevolezza si conquista dimostrando di non essere in malafede quando si scrive una notizia e ammettendo anche eventuali errori».
A una persona desiderosa di informarsi, che consiglio darebbe?
«Chi si vanta di non leggere i quotidiani è come chi sceglie di nutrirsi solo al fast food schifando i ristoranti di qualità. Si può farlo, ma alla lunga la salute ne risentirebbe. Consiglio di chiarirsi le proprie idee, andando poi a leggere i giornali che la pensano in maniera totalmente opposta, potendo così rafforzare le proprie opinioni grazie al confronto, coltivando il dubbio e verificando i fatti. Leggere la stampa compiacente, o fermarsi a certi siti web che confermano le proprie idee, non aiuta a crescere e a riflettere».
C'è un futuro per la carta stampata?
«In Italia non torneremo a toccare le vette di vendita dei primi anni 90, quando i quotidiano e alcuni settimanali erano l'unica risposta a una alta fame di informazione in un periodo difficile per il Paese. Ma il giornalismo credibile, completo e autorevole tornerà a essere un punto di riferimento».
La sua presenza all'edizione 2018 di Pordenonelegge non è la prima. Cosa la porta a partecipare a questo festival?
«Pordenonelegge è un'occasione come poche in Italia in cui una città diventa una piccola Atene, con la presenza di intellettuali anche internazionali che espongono anche posizioni diverse e opposte. È una di quelle rassegne che forma l'ossatura morale e culturale dell'Italia, visto che i partiti hanno smesso di essere presenti nei territori. Un tempo le sezioni, feste, dibattiti e comizi di qualsiasi parte politica assolvevano a questa funzione. Oggi restano festival come Pordenonelegge, che sono affollati di pubblico interessato».
Lorenzo Marchiori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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