Sansovino bocciato dai Dogi

Martedì 24 Novembre 2020
Sansovino bocciato dai Dogi
LA STORIA
«A chi gliela facciamo fare la scala? A Sansovino? A Palladio? Ma no, dài, usiamo il progetto vecchio, quello dello Scarpagnino». Non avranno pronunciato queste parole, ma è andata proprio così: a metà Cinquecento si deve scegliere come costruire la nuova scala di pietra che porta alle sale di rappresentanza di palazzo Ducale, che diventerà nota come Scala d'oro. Si presentano i progetti, segue dibattito, poi si vota, e si decide di non lasciare la strada vecchia per la nuova, con una soluzione di compromesso ai nostri giorni si sarebbe detto dorotea che cerca di non scontentare nessuno. Lo spiega Antonio Foscari, storico dell'architettura, in un lavoro pubblicato qualche tempo fa nella rivista specialistica Studi veneziani, dove fornisce anche quella che in gergo giornalistico si chiama «non notizia»: la Scala d'oro non è di Jacopo Sansovino, come invece sta scritto, per esempio, su Wikipedia o nelle guide per i turisti. Come fa Foscari a esserne sicuro? Semplice: il progetto di Sansovino è stato bocciato e per dargli un contentino gli hanno affidato il compito di decorare la scala e gli hanno finanziato il progetto di una nuova facciata per la chiesa di San Giminiano, dall'altra parte di piazza San Marco, dove oggi sorge l'ala napoleonica. P
ALLA METÀ DEL CINQUECENTO
Per capire come siano andate le cose bisogna fare un salto indietro, diciamo nella seconda metà del Quattrocento quando il palazzo Ducale come lo conosciamo oggi ancora non esisteva e al suo posto c'erano invece due palazzi, addirittura staccati fra loro e prospicienti il rio di Palazzo; in quello verso il Bacino si trovavano le sedi dei tribunali e le prigioni, nell'altro, verso la Canonica, l'appartamento del doge e la sede del Senato. Ai lati s'innalzavano pure due torri che qualche malintenzionato nella storia della città di San Marco c'era stato, vedi la congiura di Bajamonte Tiepolo nel 1310. Affacciato sul Molo sorgeva l'edificio ospitava la sala del Maggior consiglio, mentre sul lato Piazzetta (ma al tempo si sarebbe detto Brolo), si trovava un'ampia loggia.
PALAZZO UNICO
Questo affastellarsi di edifici ormai non andava più bene: troppo medievale. Bisognava sostituire il tutto con un palazzo unico che all'esterno risultasse omogeneo e non lasciasse capire cosa si nascondesse nella parte che si stava osservando. Il doge Giovanni Mocenigo, attorno al 1480, decide di avviare la ricostruzione. Si appronta un percorso trionfale che passa sotto la già esistente porta della Carta (1442) e arriva alle logge del nuovo palazzo salendo per la Scala dei giganti (1491). Tutte le altre scale che dalla cortesela ascendevano ai piani superiori erano esterne e prudentemente a portata di freccia dalla torre che si ergeva all'imboccatura del rio di Palazzo, che non si sa mai. La guerra di Cambrai (1508-1516) rompe le uova nel paniere: Venezia rischia di essere spazzata via dalla carta geografica, i soldi servono per pagare i condottieri anziché i carpentieri e nel 1513 i lavori vengono sospesi. Li riprende Andrea Gritti, il doge che prima era riuscito a far uscire Venezia dalla guerra con solo qualche penna bruciacchiata e poi si dedica alla renovatio urbis, a rifare la città più bella e più forte che pria.
LA NUOVA SALITA
Pensa che la nuova scala per arrivare dal piano delle logge (il primo) a quello di rappresentanza (il secondo) debba essere una continuazione ideale del percorso trionfale di cui si è detto sopra. Ne siamo sicuri perché fa erigere un portone monumentale che dia accesso alla non ancora costruita scala e ci piazza sulla chiave il proprio stemma di famiglia (o arma, come si diceva). Il progetto nel 1527 viene affidato al proto (architetto capo) Antonio Abbondi, detto lo Scarpagnino. Tutto bene dunque? Macché. Adesso è il consiglio dei Dieci a dare lo stop. A Venezia è bene che nessuno si allarghi troppo, anche se fosse il doge che aveva riconquistato Padova agli imperiali, e questa scala rischia di sembrare un monumento in sua gloria. Per cui i Dieci deliberano che si costruisca invece una scala provvisoria di legno. Gritti abbozza, da un lato sa che è meglio non tirare troppo la corda con i Dieci che sono stizzosetti assai. Dall'altro, se insistesse troppo con la scala rischierebbe di fermare la demolizione del palazzo di giustizia che invece va avanti. Tutto tace, riguardo alla scala per ventisei anni, finché nel 1554 si stanno finendo i lavori della nuova ala. La questione della scala torna di attualità, anche per ragioni di sicurezza. In caso d'incendio una scala di legno è pericolosa: i senatori non riuscirebbero a scappare e rischierebbero di finire arrostiti. C'è ancora giacente il progetto dello Scarpagnino, ma qualcuno pensa che ormai sia superato e alcuni componenti del Collegio chiedono che la scala in pietra in volti di mattoni sia realizzata in «doi rami» anziché «dretta» come era stato previsto nel 1527.
L'IDEA DI JACOPO
Solo il nuovo proto, Jacopo Sansovino, possiede l'autorevolezza per rimettere in discussione quelle scelte. Il progetto sansoviniano prevede che i «doi rami» si congiungono a metà quota venendo a formare un largo pianerottolo dal quale si imbocca un'unica rampa centrale più ampia che conduce al piano di rappresentanza, affiancata da altri «doi rami» ugualmente monumentali: complicato, e pure impattante. Visto che si è in ballo, viene chiesto un progetto pure ad Andrea Palladio. L'idea dell'architetto vicentino è completamente diversa: una scala a pianta circolare come quella «a lumaca» progettata nel 1505 a Roma da Bramante per papa Giulio II. Entrambi i progetti vengono però bocciati a inizio 1556. Trascorrono altri due anni di silenzio e poi in soli due giorni il nuovo progetto viene presentato in Senato e approvato. «Devono essere intervenuti», osserva Antonio Foscari, «degli accordi preliminari. Ai sostenitori di Jacopo Sansovino sarà stato assicurato che, seppure la scala sarebbe stata costruita seguendo il modello del vecchio proto Scarpagnino, sarebbe rimasto in capo al proto della Procuratoria di San Marco la responsabilità di ogni decisione concernente la definizione dei suoi ordinamenti architettonici e della sua decorazione. Perché questa doveva essere di una magnificenza non inferiore a quella della scala, allora in costruzione, che dava accesso alla Libreria di San Marco» alla quale stava lavorando Sansovino medesimo. La deliberazione è del 3 aprile, solo pochi giorni prima il Senato aveva erogato un finanziamento per la costruzione della facciata di San Giminiano affidata sempre a Sansovino. Tutti contenti, quindi, e così iniziano finalmente i lavori che ci daranno la Scala d'oro.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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