Rutelli: «La nostra sfida: dialogo e innovazione»

Domenica 30 Agosto 2020
Rutelli: «La nostra sfida: dialogo e innovazione»
L'INTERVISTA
È un messaggio chiaro. E soprattutto una grande sfida. In una fase storica contrassegnata da gelosie, ripicche, scontri, e dove le istanze nazionali spesso si confondono con il sovranismo, arriva il Soft Power. Potremmo tradurre il potere leggero. E in realtà, è un comune sentire, l'occasione di rimboccarsi le mani non solo per dare un messaggio di speranza, ma anche di costruzione per un futuro diverso. E tutto sulla base di tre parole. che sono uno slogan: dialogo, creatività e innovazione. Ora Venezia si candida a capitale del Soft Power. È la sfida del suo fondatore Francesco Rutelli, già più volte ministro, ex sindaco di Roma, un presente da numero uno dell'Anica, l'associazione che si occupa di rappresentare le industrie italiane nel mondo del cinema, che parte proprio dalla Serenissima, per il primo incontro pubblico di questo pensatoio, un think tank internazionale che si terrà, domani, lunedì 31 agosto e poi martedì 1. settembre, tra la Fondazione Cini sull'isola di San Giorgio e la Fondazione Prada a Ca' Corner della Regina sul Canal Grande. Insomma una cornice tutta veneziana per un meeting organizzato dal Soft Power Club guidato da una dozzina di eminenti personalità italiane e straniere come il principe di Giordania, El Hassan Bin al Talal; Irina Bokova (già Unesco); Lord John Browne, Yuan Ding, vicepresidente della China Europe International School; Philippe Donnet (Generali); l'industriale indiano Amitabh Kant; l'ex commissario Ue per il Lavoro, Cecilia Malmstroem; Carlo Mazzi (Fondazione Prada); il top manager africano Webber Ndoero; il numero uno dell'Associazione cinematografica mondiale, Charles Rivkin, Ana Luiza Massot Thompson Flores per l'Unesco-Ufficio regionale europeo; Juan Ignacio Vidarte, direttore generale della Guggenheim di Bilbao.
Presidente Rutelli che cosa significa oggi Soft Power?
«Intanto ci tengo a precisare che non faccio più politica. L'ho fatta per trent'anni. Ora, dopo tutto questo tempo, ho maturato la convinzione di dovermi impegnare in quella che chiamerei diplomazia culturale internazionale. Il Soft Power è un'idea a sostegno della reciproca comprensione tra le nazioni, e tra i cittadini, valorizzando le diversità, il pluralismo delle culture, le attività d'impresa, il commercio mondiale lottando contro ogni forma di diseguaglianza».
Una dottrina a metà strada tra filosofia e intervento sociale.
«A parlare per primo di soft power fu Joseph R. Nye - che sarà nostro ospite in videoconferenza a Venezia - circa trent'anni fa, all'indomani della conclusione della guerra fredda, nel momento in cui gli Stati Uniti, usciti vincitori dallo scontro con l'Unione Sovietica, erano entrati in una stagione unipolare. Celebre l'affermazione di allora di Henry Kissinger: il potere a livello internazionale non dipende solo dagli equilibri dell'«hard power», ma dalla percezione della sua legittimità».
Da allora, però, il mondo è profondamente cambiato.
«Senz'altro. Negli anni abbiamo assistito ad un drastico cambiamento. Le istituzioni internazionali appaiono più deboli: si pensi all'Onu, all'Organizzazione mondiale della Sanità, all'Unesco, ma altrettanto paradossalmente cresce l'interdipendenza globale, basti pensare alla crisi dovuta alle pandemie o ai cambiamenti climatici».
È quindi indispensabile procedere uniti nel mondo sulle grandi sfide che ci attendono in un prossimo futuro?
«Sappiamo che l'interesse delle singole nazioni non verrà mai meno, ma in una fase di ampia prospettiva, per contrastare radicali polarizzazioni, l'insorgere di nuovi conflitti, riteniamo indispensabile sostenere una collaborazione multilaterale basata su dialogo, creatività, innovazione e, infine, in questo àmbito favorire il ruolo della società civile, dei cittadini anche con un uso responsabile dei social media e di Internet».
Sfide planetarie ci attendono, quindi.
«Occorre dare delle risposte a domande centrali: è ancora possibile un approccio umanistico alla globalizzazione? E ancora: le geopolitiche nazionali potranno essere superate dal dialogo e la collaborazione internazionale? È possibile favorire strategie di sviluppo alle imprese? E non ultimo: è possibile ricostruire i rapporti di fiducia tra le Nazioni, tra le istituzioni con i cittadini? Noi crediamo di sì. Questa è la missione del progetto Soft Power».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA