Quarant'anni dopo la febbre non passa

Lunedì 20 Novembre 2017
LA STORIA
La musica alta. L'aria soffocante. I tentativi falliti di fare qualche domanda. E la frustrazione. Poi, l'idea per salvare giornata e articolo: inventare. È nato così, dalle creazioni di una serata storta in cui un giornalista non è riuscito a trovare la notizia, il film La febbre del sabato sera di John Badham, titolo iconico che, il 16 dicembre 1977 festeggia i suoi primi quarant'anni di vita e di straordinario successo. È il 7 giugno 1976 quando Nik Cohn pubblica sul New York Magazine l'articolo Tribal Rites of the New Saturday Night, storia di locali, culture giovanili e razzismi, ma anche di moda, illusioni e sogni. Non una storia qualsiasi, ma quella di Vincent, giovane capace di trasformarsi nel simbolo di un'intera generazione. Ogni fatto è presentato come vero, ma, come poi Cohn confesserà, in realtà è stato costruito per essere una notizia. L'articolo diventa un caso. L'anno dopo ispira un film. Il produttore Robert Stigwood compra i diritti del reportage. Ha sotto contratto un attore per un lungometraggio ispirato al musical Grease, ma deve attendere il 1978 per portare lo spettacolo sullo schermo, quindi ha bisogno di un altro titolo.
BELLO E SCAPESTRATO
Il divo è John Travolta, 23 anni, che interpreta Vinnie Barbarino in una sitcom. Bello, scapestrato, poetico, è l'idolo di migliaia di ragazzine, ma a livello locale. Per la scena internazionale, è uno sconosciuto. Anche il regista Badham è un nome televisivo. E perfino, una seconda scelta. Il primo contratto è per il papà di Rocky, John Avildsen ma i rapporti sono tesi e a pochi giorni dall'inizio delle riprese, Avildsen va via. A firmare la musica, Stigwood chiama i Bee Gees, che compongono i brani in poco più di un weekend. È tutto pronto. Sul set, come comparse pure la madre e la sorella di Travolta. La cronaca di Cohn diventa realtà. Travolta, che da questa interpretazione otterrà fama internazionale, è Tony Manero, diciannovenne italoamericano che vive a Brooklyn ma sogna Manhattan, lavora in un negozio di vernici ma la sera aspira a essere il re della pista all'Odissey 2001. Il ballo è il mezzo - o l'illusione - per cambiare vita. Fin qui, la cornice, resa irresistibile dalle note e dalle coreografie, e dai passi che Travolta vede in tv e insegna alla partner di scena, Karen Lynn Gorney.
SOGNI E VIOLENZE
Il titolo racconta molto di più: ci sono le aspirazioni frustrate, i ghetti, le violenze, lo stupro, la morte. Il meccanismo pare quello collaudato delle storie di formazione, dove l'eroe deve superare più prove per farsi uomo. Qui, però, l'eroe è un bullo, le prove sono ostacoli di una vita dura, che alcuni conoscono e dalle cui ombre i più si fanno affascinare. New York è il riferimento per le nuove culture. E per l'Italia dove il film arriva nelle sale vietato ai minori di 14 anni il 13 marzo 1978 - secondo Paese europeo dopo l'Inghilterra - è un sogno, una garanzia di modernità. Non importa che alcune delle scene siano state tagliate, l'effetto è dirompente.
«Un minuto all'interno di Saturday Night Fever può darvi un'idea degli eccessi e dell'energia della discoteca», scrive Gene Siskel sul Chicago Sun-Times. Eccessi ed energia, il mix vincente. O più semplicemente, la formula della gioventù. Il film sdogana l'edonismo e la ricerca di una fama veloce che rompe le regole e salva, in un duello generazionale, dalla banalità della vita adulta. E ancora, la leggerezza, il disimpegno, una superficialità da cui insegna a curarsi ma di cui, in fondo, in alcuni momenti mostra quanto sia bello ammalarsi.
LA CLASSIFICA
La colonna sonora, pubblicata sette giorni prima dell'arrivo nelle sale, rimane per ventiquattro settimane consecutive in cima alle classifiche Usa ed è il disco più venduto dell'anno in vari Paesi, Italia inclusa. È una rivoluzione che segna cinema e moda. Tante le influenze lasciate. Sono negli omaggi di film e animazione, tra Simpson e Sesame Street. Nel 2006 Madonna nel Confession Tour sale sul palco con il completo bianco e la camicia nera in puro stile John Travolta. Il 2008 è l'anno del lungometraggio Tony Manero di Pablo Larraín. Poi i live. E abiti, parodie, giocattoli. Un business a tanti zeri. Tutto monetizzato. Perfino la pista. Lasciata dalla produzione all'Odissey 2001, vi è rimasta fino al 2005, quando il locale ha chiuso: è andata all'asta lo scorso giugno per 1,2 milioni di dollari. Nel 1997, a vent'anni dal film, Nik Cohn ammise: «Non sapevo nulla di quel mondo e si vedeva. Letteralmente, non parlavo la lingua. Così, ho realizzato un falso». Un falso divenuto icona.
Valeria Arnaldi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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