Plessi: «C'è bisogno di luce»

Venerdì 27 Marzo 2020
Plessi: «C'è bisogno di luce»
L'INTERVISTA
La meglio gioventù viaggia anche sulle ali degli 80 anni. Facile definirla l'età dell'oro, come la mostra che Fabrizio Plessi avrebbe dovuto inaugurare il 16 maggio tra Ca' Pesaro e piazza San Marco, a Venezia. Resistenza, brillantezza, valore, luce, colore: qualità tanto del materiale, quanto del carattere dell'artista nato a Reggio Emilia nel 1940 e arrivato a Venezia a 15 anni. Allora, come oggi, si trovò a vivere una città in ginocchio: l'acqua alta del 4 novembre 1966, quella del 12 novembre 2019. E oggi un nuovo nemico che nei veneziani evoca le angosce di antiche pesti. Ma Plessi è già oltre. Gli 80 anni lui li compirà il 3 aprile: la sua età dell'oro. Li festeggerà a casa sua, a San Polo. La festa al Caffè Florian sarà solo rimandata, così come la mostra che, prevista dal 16 maggio, slitterà all'autunno, forse a settembre. «Faremo tutto, è solo un rinvio», promette Plessi, abituato del resto a guardare oltre.
C'è un'alchimia misteriosa tra l'artista e i suoi elementi: il fuoco, l'acqua, adesso l'oro. Una simbiosi, un reciproco scambio, un mutuare di reciproci caratteri, un dialogo continuo. E c'è dunque un triplice filo che lega la mostra, l'artista, la città.
Plessi, che mostra è L'età dell'oro?
«È un regalo che Venezia ha voluto farmi e che io ho ricambiato. Quando la direttrice dei Musei civici Gabriella Belle e il sindaco Luigi Brugnaro me ne hanno parlato, ne sono stato felice. Avrei potuto fare una mostra antologica, con le mie opere. Invece ho pensato a una mostra nuova. Ca' Pesaro sarà uno spazio nero nel quale brillerà l'oro, un percorso spettacolare e sensoriale in cui l'oro diventerà liquido, si farà cascata».
Perché l'oro?
«Perché Venezia è una città d'oro, basti pensare ai mosaici bizantini che sono l'anima della città. L'oro è resistente, prezioso, splendente. E in questo particolare momento storico abbiamo bisogno di luce, positività. E anche lo sponsor che ci sostiene, Dior, esprime questi valori».
E in piazza San Marco cosa ci sarà?
«Sarà un ritorno, 20 anni dopo l'opera della Biennale con le finestre di acqua e fuoco. Stavolta le finestre del Correr splenderanno d'oro, in dialogo costante con i mosaici della Basilica di San Marco».
Che valore ha per lei questa mostra?
«È un sogno che si realizza. Io sono un ragazzo di 80 anni che continua a sognare. Se è vero che la vecchiaia arriva quando i rimpianti si sostituiscono ai sogni, io sento ancora di avere 18 anni e non ho rimpianti. Arrivai qui che ne avevo 15, trovai una città annegata che però ha saputo cambiarmi il carattere. Mi ha plasmato modellato, reso più malleabile e tollerante. Mi ha trasmesso i suoi ritmi. Ha dato la grammatica al mio linguaggio».
Una città che ora, forse più di allora, è in ginocchio.
«Ripartiremo, meglio di prima. Certo, l'acqua alta dello scorso novembre è stato come un déjà vu di un film in bianco e nero. A inizio anni Settanta, con le mie opere, cercai attraverso l'arte di trasmettere un messaggio: le spugne giganti, i rubinetti con i coriandoli, le dighe inutili, il libro Acquabiografico con 200 progetti e idee sull'acqua alta, erano un modo per portare all'attenzione la fragilità della città. Pensavo non si ripetesse più. E adesso mi chiedo perché, con le conoscenze scientifiche e tecnologiche che abbiamo, non siamo stati in grado di fronteggiare questa emergenza. Oggi vedere le calli vuote, la città deserta, trasmette una visione apocalittica e medievale. Ma Venezia si riprenderà e lo farà ancora con più convinzione nel segno della cultura, della bellezza».
Come ne usciremo?
«Guardi, questo deve essere un momento di riflessione, non di abbattimento. Dobbiamo cogliere l'occasione di guardarci dentro, di ritrovare il filo. Ci eravamo forse smarriti, dimenticati dei nostri valori fondanti: la bellezza, la cultura. È da qui che dobbiamo ripartire. Ho insegnato Umanizzazione delle tecnologie all'università di Colonia: ecco, io credo che dopo la tecnologia, dobbiamo ri-umanizzarci, diventare più umani. È questo il senso il periodo che stiamo vivendo. E se sapremo farne tesoro, ne usciremo migliori».
Da sognatore di 80 anni, quale è il segreto per realizzare i sogni?
«Sognare è la nostra essenza, ci fa andare avanti. Appena arrivato a Venezia, da ragazzo, andai alla Guggenheim e mi dissi che avrei esposto prima o poi le mie opere alla Gunggenheim di New York. Ci sono riuscito anni dopo. A casa non ho opere mie, ho le pareti bianche perché penso sempre che la prossima opera sarà migliore e quindi non appendo nulla. Adesso, dopo la mostra alle terme di Caracalla lo scorso anno, arriva questa di Venezia. Con le mie cascate d'oro spero di dare sollievo all'animo delle persone».
Lei appartiene a una generazione che, in questi periodo storico, si trova ancora una volta a soffrire per una guerra. Che messaggio dà ai suoi coetanei?
«Io non sono un farmacista che può dare una medicina, sono un artista. E la mia cura sono le emozioni. L'artista ha delle antenne e percepisce il mondo che gli sta attorno, cura i problemi con le emozioni, creando l'arte, la bellezza. Io a 80 anni me ne sento 18, lo ridico. Non ho rimpianti, ho fatto quello che dovevo fare. Non volevo diventare ricco e famoso, non era quello il mio scopo. Ma volevo esporre nei musei più importanti. Oggi posso dire di aver realizzato più di 500 mostre in 138 musei, mi sento appagato rispetto alle mie aspettative di vita. E ho trovato chi era più pazzo ed entusiasta di me, a sostenermi. A partire da mia moglie Carla, dai miei figli Rocco e Maria Sole, loro mi hanno sempre appoggiato».
E come vive oggi da giovane 80enne?
«Vivo a San Polo, ho lo studio alla Giudecca. Ogni mattina attraverso il canale come un Caronte e mi immergo nell'arte. Poi la sera torno a casa, felice, dalla mia famiglia. Cammino su quei masegni, tra le calli, mi sento tranquillo. Tornare ogni volta dall'estero e arrivare dall'aeroporto a Venezia, è una emozione. Mi auguro che si possa tornare presto a potersi muovere. La vivo come una pausa, in fondo. In autunno recupereremo le mostre di Venezia, Abu Dhabi, Milano a palazzo Reale. Faremo la festa per i miei 80 anni, al Caffè Florian. Intanto approfittiamo tutti per guardarci dentro e riscoprire il valore della nostra cultura. Riscopriamoci umani».
Davide Scalzotto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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