Piranesi, un genio tutto veneziano

Martedì 17 Settembre 2019
ARTE
Piranesi fu artista veneziano che nella sua opera Le Carceri seppe raccontare gli orrori dell'inquisizione. Di questo racconta il volume A proposito di Piranesi-Una rilettura di Enzo Di Martino, critico d'arte che, oltre a pubblicare diversi libri sulla storia della Biennale, dal 1980 è apprezzata firma del Gazzettino. Il volume, edito da Cleup, propone un'interessante e approfondita rilettura su Giovanni Battista Piranesi (Venezia 1720-Roma 1778), artista incisore tra le più importanti figure artistiche del Settecento europeo. Proprio Di Martino, studioso e conoscitore dell'artista, nel 1978 ha trascritto, pubblicato e filmato l'incontrovertibile atto di battesimo di Piranesi, tuttora conservato nell'archivio del Patriarcato di Venezia, che sancisce definitivamente la nascita dell'artista nella città lagunare e non a Mogliano Veneto come riferito fino ad allora dagli storici. Questi infatti trascuravano che al tempo il padre di Giovan Battista era già ben inserito a Venezia avendo sposato la veneziana Laura Lucchesi, nipote dell'architetto Matteo Lucchesi costruttore di una parte dell'Arsenale. L'atto, che già era stato scoperto e tradotto in francese dallo storico Henri Focillon senza però esser preso in considerazione dalla maggior parete degli studiosi, come viene sottolineato nel volume, testimonia la provenienza istriana della famiglia di Giovan Battista.
IL PADRE ANZOLO
Il padre è indicato come Anzolo Piranese che di mestiere faceva il tagliapietra. Evidentemente le origini dell'artista incisore venivano dalla cittadina istriana di Pirano, un collegamento che non era mai stato fatto prima e che Di Martino nel 1988 sancisce per la prima volta curando una vasta mostra antologica nella Galleria Comunale di Pirano. Nel volume appena pubblicato grande spazio viene occupato dalla rilettura de Le Carceri, l'opera maggiore di Piranesi, un ciclo di 16 tavole centrali per la lettura della produzione del grande incisore. Da sempre Le Carceri sono state considerate come fantastici progetti di architettura. Infatti Piranesi giunse a Roma con la speranza di fare l'architetto, ma l'unico incarico che ricevette fu il restauro della piccola Chiesa di Santa Maria del Priorato di Malta nel 1764. Concepite quando Piranesi era poco più che ventenne nel 1745, Le Carceri inizialmente erano 14 lastre di cui restano pochi esemplari. Lasciato il progetto, l'artista lo riprese 15 anni dopo quando abbandonò il sogno di diventare architetto veneto. Erano gli anni 1760-61 quando, nel pieno della maturità artistica, Piranesi decise di pubblicare una seconda edizione a cui vi aggiunse due lastre. La seconda edizione però appare subito completamente diversa dalla prima: se precedentemente le lastre erano incentrate su architettura e giochi prospettici, ora vengono totalmente riprese, alcune risultando irriconoscibili. Le immagini sono più scure e tenebrose e il disegno si fa più complesso e tormentato.
ATMOPSFERA INQUIETANTE
L'atmosfera è inquietante e le prigioni si popolano di terribili macchine di tortura. Il testo infatti propone un confronto tra la prima e la seconda edizione prendendo in analisi otto fogli. Le Carceri sono l'opera più complessa e affascinante che ha segnato tutta l'attività incisoria dell'artista. Misteriose e conturbanti, dopo un'accurata rilettura, il critico giunge alla conclusione che il ciclo di tavole sia chiaramente una denuncia degli orrori dell'inquisizione, ai tempi di Piranesi ancora attiva a Roma, che l'artista elabora senza temere più alcuna censura. Inoltre secondo Di Martino gli ambienti traggono ispirazione proprio dalla mole di Castel Sant'Angelo, sede delle segrete del tribunale ecclesiastico. Ampia parte del testo ripropone un'intervista immaginaria ad Henri Focillon già pubblicata nel 2008 sulla rivista ArteDocumento dove, in un colloquio confidenziale, vengono confrontate le scoperte al tempo di Focillon con le nuove riletture di Di Martino.
Francesca Catalano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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