«Per ogni Michelin mi regalo la Ferrari»

Giovedì 21 Giugno 2018
L'INTERVISTA
«Sono un uomo fortunato. Due settimane fa cucinavo a Downing Street per importantissimi ospiti del primo ministro inglese, poi la scorsa settimana a Napoli ho pagato 4,50 euro una straordinaria pizza (invece dei 18 di una, pessima, a Londra) e ora sono in questo magnifico posto della Sardegna. Sì, sono fortunato!». Gordon James Ramsay, 52 anni a novembre, scozzese, è lo chef che con i suoi 24 ristoranti ha conquistato più stelle Michelin al mondo, ha pubblicato una decina di libri, è il piú noto dei cuochi televisivi. È lui il vero originale burbero di Hell's Kitchen, Cucine da Incubo, Masterchef. Altro che Carlo Cracco e Tonino Cannavacciuolo... «Per fare un Gordon ce ne vogliono almeno due di loro. Scherzo, sono bravissimi e anche amici». Come, appunto, Carlo Cracco, che ieri ha cucinato assieme a Ramsay e ai bistellati Massimiliano Mascia e Giuseppe Mancino al Forte Village, vicino a Cagliari, dove lo chef scozzese ha una delle location del suo impero di cuoco, imprenditore e manager. E dove ha rilasciato questa intervista.
Una sua allieva - Clare Smyth - è stata proclamata proprio ieri a Bilbao migliore chef donna al mondo. Orgoglioso?
«Clare ha lavorato 12 anni con me, è bravissima, temo che possa superarmi. Ma non sopporto parlare di chef donne e chef uomini. Diventa sessismo, è degradante. Il mondo è pieno di donne che comandano brigate di cucine importanti, di ragazze talentuose. Ho sott'occhio una biondina con i capelli ricci, ha 16 anni e si chiama Mathilda. Di cognome Ramsay».
Quindi a casa fa cucinare i suoi quattro ragazzi (Megan, i gemelli Jack e Holly e Mathilda)?
«Gli altri genitori regalano l'ultima versione dell'iPhone o altri gadget elettronici. Io la macchina per fare la pasta in casa. E tutti sin da piccoli hanno amato cucinare, senza alcuna imposizione».
Con sua moglie Tana ha creato la Fondazione Ramsay. Con quali finalità?
«Raccogliamo fondi per l'ospedale pediatrico Great Ormond Street, che cura bambini sotto i 18 mesi. La Fondazione è un fatto educativo per i miei figli che sono pienamente coinvolti. Troppo facile essere dei privilegiati, devono imparare a capire la vita, a impegnarsi per gli altri».
Ricordi dell'infanzia in cucina?
«La mamma faceva il pane, due volte la settimana, e così porto con me il ricordo dell'odore del pane fresco e della torta di mele. Il dolce ce lo potevamo permettere solo una volta al mese. Il sapore della domenica era manzo con lo yorkshire pudding».
Tre aggettivi per descriverla.
«Raffinato, creativo, appassionato».
Tre cose per le quali vale la pena vivere?
«La famiglia, i clienti, le Ferrari».
Quante Ferrari ha?
«Attualmente 11. Ne ho avute anche di piú. Me ne regalo una quando conquisto una nuova stella Michelin, ne vendo una se perdo il macaron».
Un piatto che l'ha emozionato?
«Non lo dico perché siamo in Italia, ma gli agnolotti di Nadia Santin (Dal Pescatore, tre stelle, a Canneto sull'Oglio, ndr) mi hanno lasciato un ricordo forte».
Il piatto che la rappresenta?
«Il raviolo con l'aragosta con purea di pomodori. È per metà scozzese e per metà italiano. A settembre celebro i venti anni del mio ristorante a Chelsea. Questo continua a essere il piatto più richiesto».
Le cene romantiche hanno ancora senso?
«Assolutamente sì. Ogni tanto con mia moglie ne abbiamo bisogno e veniamo qui in Sardegna per una meravigliosa cena a lume di candela senza figli e giornalisti in giro».
Ha cucinato per gli uomini più potenti del mondo. Chi vorrebbe avere ancora come ospite?
«Mi piacerebbe cucinare per il Papa e visitare il Vaticano».
Cosa ama dei prodotti italiani?
«Più di tutto il fatto che i vostri ingredienti vengano sfruttati in maniera totale. Sono stato recentemente in Campania a visitare allevamenti di bufale e caseifici. Ho imparato a cucinare la bufala, la burrata, la ricotta e quando pensavo di aver finito, ecco la mozzarella affumicata. Da voi nulla è sprecato».
Un consiglio a un giovane cuoco?
«La cucina è contatto. Non devi condire tutto all'inizio, ma assaggiare e aggiungere lentamente ogni 20 minuti. I ragazzi devono affinare il gusto e la capacità di condire. Alcuni chef invece sono dei robot, fanno una cucina meccanica senza provare».
Un giovane cuoco italiano da segnalare?
«Tanti, ma sicuramente il mio sous chef a Londra, Davide De Giovanni. Ha 24 anni. Ne sentiremo parlare».
Sorprese nel menu estivo al Forte Village?
«Ho solo venti posti in riva al mare, quindi prodotti straordinari, tutti del territorio che mi permettono di sviluppare grande creatività. Piatti ovviamente freschi, leggeri. Per esempio, nella parmigiana la melanzana invece di metterla a pezzi la riduco in composta».
L'intervista è finita e la sensazione è che l'uomo più cattivo della tv sia invece un vero pezzo di pane.
«Però in cucina bisogna essere precisi, attenti, rigorosi, non ci possono essere distrazioni. Noi siamo come gli atleti, dobbiamo avere grande disciplina, altrimenti dedichiamoci al take away».
Carlo Ottaviano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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