Parise e Omaira, un amore

Mercoledì 18 Settembre 2019
Parise e Omaira, un amore
LA STORIA
Il clichè è sempre all'orizzonte: il celebre scrittore e inviato del Corriere un po' avanti con gli anni e la ventenne dal nome esotico, Omaira, spavalda e quasi indisponente che un po' alla volta «gli entra nella testa» sconvolgendogli la vita. Eppure, per la giovane figlia del fabbro che non lo conosceva, nè aveva mai letto nulla di suo, su libri o giornali, Goffredo Parise piantò la pittrice Giosetta Fioroni, compagna da molti anni, trascurando anche l'ambiente letterario romano che ormai lo innervosiva e, forse, l'annoiava. Meglio quel rifugio in riva al Piave, la magica casetta delle fate a Salgareda tra viti nane e alberi da frutto, e quella giovane donna che «possiede cromosomi pregni di polvere ferrose», una selvadega piena di luce ed energia.
LA SCOPERTA
Dopo una serie di saggi e romanzi e il curioso A cena da Goffredo Parise e altri racconti, il chirurgo-scrittore trevigiano Tommaso Tommaseo Ponzetta torna a scrutare da vicino la vita dell'amico-autore dei Sillabari nel nuovo lavoro Omaira-Un amore di Goffredo Parise (Piazza ed) - sarà presentato sabato 21 settembre a Treviso, alla Casa dei Carraresi (ore 17) da Carlo Nordio, Gian Domenico Mazzoccato e l'editore Silvano Piazza - una delicata storia d'amore sconosciuta ai più, che attirò il vicentino Parise sulle rive del Piave. Lì c'era tutto quello che un animo inquieto e tormentato poteva desiderare: un contesto naturale di inaspettata bellezza, un'accogliente casetta sull'argine del fiume «avvolta in un ampio verde disordinato» e una giovane donna che sprigionava la forza della terra, «resistente alle onde sismiche della vita». L'incontro tra Omaira e el dotor, come in paese chiamavano Parise, risale all'inizio degli anni Settanta, quando lo scrittore acquista la villetta sul Piave e la restaura: cercando un fabbro per «certi chiavistelli e anelli di antica fattura che lui stesso aveva recuperato», Parise si imbatte nella giovane Omaira Rorato, all'epoca diciottenne, studentessa di ragioneria prossima al diploma. Il primo approccio non è dei migliori, come ricorda Tommaseo. Lui crede di essere affabile, «sono lo scrittore Goffredo Parise», lei gli sbotta un indifferente «chissenefrega». Ma quell'aria indisponente e un po' sfrontata colpisce l'autore dei Sillabari, che il giorno dopo torna dal fabbro sperando, invano, di rivedere la giovane. La strada, tuttavia, è segnata. Parise inizia a sostare sempre più a lungo a Salgareda, «dove la vita comincia prima dell'alba, è molto felice all'aurora e rimane felice tutto il giorno»: nel decennio 1972-1982 nascono i suoi Sillabari. In quegli anni lo si vede girovagare tra Ponte di Piave e Salgareda su una vecchia Renault color verde bandiera, racconta Tommaseo, «così sgangherata che il traballante cofano, di tanto in tanto, si apre da solo».
L'AUTORE
Il chirurgo-scrittore, che con Vincenzo Gallucci firmò il doppio trapianto di cuore e rene in un unico intervento nel 1986, ricorda con precisione le comparsate del bizzarro ed intrigante vicino di casa al desco della famiglia Tommaseo, «mangiava, beveva e fumava. Poi, se l'umore era buono, s'intratteneva a chiacchierare volentieri un po' con tutti, ma se la serata gli era storta, per motivi forse a lui stesso sconosciuti, ammutoliva e se ne andava alla chetichella». Tommaseo, 90enne con l'energia di un ragazzino, sospira divertito: «Mi manca molto Goffredo, mi mancano le nostre chiacchiere, il suo sguardo, eravamo in sintonia in molte cose». L'idea di avvicinarsi alla storia d'amore tra Parise e Omaira nasce quasi per caso, un anno fa: «L'ho incontrata all'ufficio postale di Ponte di Piave, eravamo entrambi in coda per pagare qualche bolletta - spiega - È stato bello rivederla dopo tanto tempo. E abbiamo finito per parlare di lui: manca a me, e manca tanto a lei. Dopo tutto, ancora giovanissima e con l'intera vita davanti, Omaira ha rinunciato senza rimpianti a un'esistenza più compatibile con la sua età per stare accanto a un uomo molto più anziano di lei che ha amato senza interessi, tranne quelli del cuore». Figura schiva e solitaria, Omaira continua a vivere nella sua Ponte di Piave, con la sua famiglia, i ricordi e i suoi libri. «Ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere la sua storia - continua Tommaseo - mi piaceva l'immagine di questa ragazzina che si era permessa di contraddire uno scrittore premio Strega e Campiello. Lei all'inizio non era molto d'accordo, ma le ho promesso che non avrei scritto nulla di pruriginoso. Le ho mandato il manoscritto e l'ha approvato. Mi ha promesso che verrà alla presentazione, ma starà nascosta tra il pubblico».
I RETROSCENA
L'amore tra Goffredo e Omaria non nasce subito: la ragazza, all'inizio, è fidanzata con un ragazzo del paese. I due si sposano nel 1975, ma lui muore dopo solo sei mesi. Parise va a trovarla, sa di non poterla consolare, «lui conosceva la solitudine sin da bambino», figlio di un padre che si era dileguato e di una mamma che se ne vergognava. Ci vuole tempo. Dapprima i due si scrivono, si danno dei lei, Omaira si esprime col suo linguaggio naturale, «brioso e fluente come l'acqua del Piave», poi passano al tu, quindi iniziano a uscire, a cenare insieme. «La figlia del fabbro - racconta Ponzetta - dimostrava di possedere la più grande virtù che possa avere una donna nei confronti di un uomo che le parla col il cuore in mano: quella di saperlo ascoltare». Perchè Parise, uomo complesso e complicato, in «perenne contrasto con tutto ciò che lo circondava», non può che invidiare Omaira: «in lei le contrarierà della vita non pareva facessero in tempo a radicarsi, perché l'energia della sua giovinezza le assorbiva e le allontanava nel giro di pochi minuti».
CUCCA MIA
Omaira, «cucca mia» come affettuosamente la chiama Parise, è un antidepressivo. Lei ama vederlo sereno, si interessa a lui, ai suoi racconti, ai suoi pensieri, ama ascoltarlo mentre le narra dei suoi viaggi. Poi, però, il fisico di Parise comincia a spezzarsi. Dapprima il cuore: l'infarto arriva nel 1979, le coronarie sono in stato precario, l'intervento nel 1981 viene effettuato a Padova, opera Vincenzo Gallucci, 4 i bypass. Quindi l'insufficienza renale, la dialisi: lui è avvilito, anche se il suo motto resta sempre la malattia bisogna maltrattarla. Infine nel 1986, poco prima della morte, la laurea honoris causa dell'Università di Padova. Parise deve scrivere un discorso, ma è affaticato e stenta a buttare giù un testo. Omaira glielo boccia, «Qui... in questo discorso non sei tu! troppo aulico e accademico», lui si rimette al lavoro, lei finalmente approva e lo segue alla cerimonia, mescolata tra il pubblico. Il discorso ha il sapore amaro del commiato dal mondo, e lei lo intuisce osservandolo con occhi pieni di dolore. Parise muore tre mesi dopo, il 31 agosto 1986. E di Omaira si perdono le tracce. Fino all'incontro con Tommaseo. «Durante la sua straordinaria avventura sulle rive pettegole e maliziose del Piave, Omaira non ha mai tradito la propria coscienza, ha conservato la propria dignità di donna, autonoma e ostinata nelle proprie decisioni e mai in subordine alla forte personalità di Parise».
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci