Paolini: «Ancora tanto dolore per quello scontro»

Domenica 10 Marzo 2019
Paolini: «Ancora tanto dolore per quello scontro»
LA CONFESSIONE
Ne ha parlato a sorpresa ed è stata una delle rare occasioni in cui l'ha fatto, da quando è successo il drammatico episodio. Un silenzio e un ritiro a suo giudizio necessari in una condizione come la sua, che lo hanno portato a non voler parlare più in pubblico per molto tempo. Era il 17 luglio del 2018 quando l'attore Marco Paolini tamponò con la sua auto, nelle vicinanze di Verona, una vettura sulla quale viaggiavano due donne, una delle quali rimasta uccisa. Motivo per il quale Paolini attualmente si trova in attesa di giudizio, con l'accusa di omicidio stradale. «Ho ucciso una persona con la macchina. Da quando è successo avrei voluto parlare con i familiari della vittima ma non mi è stato possibile e lo capisco. Io, in ognuno di voi, vedo la famiglia di quella donna che non c'è più, per quello oggi ho fatto un'eccezione».
Nella sala della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista ieri mattina l'emozione era palpabile quando un commosso Marco Paolini ha preso la parola davanti alla platea gremita di centinaia di persone e familiari delle vittime per mafia, arrivate nella città lagunare per partecipare alla tre giorni organizzata dall'associazione di don Ciotti Libera e da Avviso pubblico. Un'occasione, quella di ieri, per condividere le storie di coloro che vittime innocenti non ci sono più -, alla presenza anche della vicepresidente di Libera, Daniela Marcone il cui padre, funzionario di Stato, pagò con la vita la sua denuncia alla mafia e di Lorenzo Frigerio di Libera Informazione.
IL DOLORE
«Il dolore che vi è capitato ha trasformato le vostre vite. Avete imparato qualcosa che vi accompagnerà per sempre», le parole di Paolini che ha voluto soffermarsi durante il suo intervento sul valore della testimonianza, sulla rete fisica e non virtuale a cui le associazioni come Libera hanno permesso di dar vita. Il vero rischio quando capitano fatti privati drammatici come questi o come quelli che il nostro Paese si è trovato a vivere nel corso della sua storia recente e passata (come Piazza Fontana e il Vajont), è quello di chiudersi ognuno in se stesso. «Avere un po' di aiuto vicino, invece, cambia ha spiegato le cose radicalmente». E anche la memoria è un esercizio collettivo fondamentale. «Non è un obbligo ma una scelta che deve formarsi insieme agli altri, in qualche maniera. In questo Paese c'è tanto oblio e una rimozione della memoria che non ha eguali in tutta Europa. La memoria non deve essere un fardello, altrimenti chi nasce dopo e penso ai giovani viene caricato della responsabilità dei padri, di tutta una serie di faccende non risolte. Ricordare vi fa stare meglio, vi fa sentire vivi e più vicino a chi avete perduto. Fatelo per l'onore di questo Paese», ha continuato Paolini spiegando come chiunque, in un mondo pieno di fake news, possa oggi inventarsi una testimonianza diventando così un profeta, tanto nessuno andrà a verificarne la veridicità. «Questo è pericoloso e significa fare demagogia».
Marta Gasparon
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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