Paolina Bonaparte: carattere indipendente, mente vivace

Venerdì 24 Maggio 2019
Amante del fratello, insinuarono i maligni. No: del Grande Corso, Paolina Bonaparte fu la discreta confidente, la sollecita consolatrice. Anche lontana, gli fu sempre vicina. Mai lo abbandonò, condividendone pene e ansie, alleviandogli amarezze e triboli. Godette delle sue vittorie, inneggiò ai suoi trionfi, e quando la fortuna, dispensatrice di tanti allori, volse le spalle al conquistatore del mondo, lei ne perpetuò il culto. Di undici anni più giovane di Napoleone così il futuro console era stato denunciato all'anagrafe di Ajaccio Paolina vide la luce il 20 ottobre 1780, un venerdì, data fausta o infausta, ma sempre fatale. Il padre, Carlo Buonaparte, (la u cadrà per volontà dell'imperatore, francese fino al midollo, sebbene nato nell'isola mediterranea) era un piccolo nobile, né ricco né povero, che morirà prematuramente, lasciando moglie e otto figli. Maria Paola, chiamata Paoletta, e successivamente ribattezzata Paolina, rivelò subito un carattere, anzi un caratterino indipendente e volitivo e una mente duttile e vivace. Faziosa e fantasiosa, fece studi scarsi, un po' perché ribelle a ogni disciplina, un po' per mancanza di mezzi. Alla madre, Letizia Ramolino, diede più filo da torcere dei fratelli e delle sorelle, ma anche più soddisfazioni. Quando, a tredici anni, abbandonò l'isola con la famiglia, in seguito alle divergenze del Bonaparte giovane generale di artiglieria francese, tenente colonnello della guardia nazionale corsa con Pasquale Paoli, leader autonomista e alfiere del riscatto isolano dal giogo francese, era già una ragazza fatta. Splendidamente sviluppata, di lei colpivano gli occhi blu, i capelli neri, le spalle; le braccia, le gambe perfette, il viso ben modellato e straordinariamente espressivo, l'approccio malizioso e straordinariamente accattivante, il piglio ardito e il passo spedito. Una donna sicura di sé, estroversa fino alla spavalderia, provocante fino all'insolenza. Una donna che sapeva ciò che voleva e guardava lontano, lontano e in alto. Come il fratello, uomo del destino, protagonista della sua epoca, sia nella fulminea ascesa che nella precipitosa caduta. A Tolone, dove i Bonaparte ripararono, e poi a Marsiglia, dove si trasferiranno, tirava una brutta aria. Era il 1793, anno cruciale nella storia della Francia, in balia del giacobinismo trionfante, più settario e sanguinario, ai comitati di salute pubblica, ai tribunali del popolo. La monarchia era crollata e il suo sovrano, l'esangue, goffo, irresoluto Luigi XVI, aveva perso la testa, non più coronata sulla ghigliottina. La confusione era all'acme e lo spettro della carestia incombeva sul Paese. I Bonaparte si rimboccarono le maniche. Se per sbarcare il lunario Paolina e la sorella Elisa si prostituirono, non sappiamo, ma non ci stupiremmo. I tempi erano grami, e il bisogno, inasprito dall'emergenza, assolvevano, se non legittimavano, il meretricio. Senza contare che le due donne erano spregiudicate, e scrupoli morali ne avevano pochi. I libellisti più faziosi intinsero la penna del veleno della diffamazione, e quando l'idolo napoleonico cadrà, quella si riproporrà con oscene varianti: «Abbiamo assistito a uno strano spettacolo di sgualdrine che si sono trasformate in principesse e in regine, con una sola differenza: quando erano a Marsiglia si facevano pagare; divenute maestà, pagavano loro». Calunnie, perfide calunnie. Di certo, per non essere sopraffatte dall'inedia, Paolina si improvvisò cameriera e sarta.
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