Palù di Livenza una finestra sul Neolitico

Venerdì 15 Ottobre 2021
Palù di Livenza una finestra sul Neolitico
ARCHEOLOGIA
Per oltre sei millenni l'acqua di falda ai piedi del Cansiglio alla sorgente del fiume Livenza, mista al limo e al territorio paludoso, sono riusciti a compiere un'impresa quasi miracolosa: conservare quasi alla perfezione la stratificazione di insediamenti risalenti al periodo Neolitico, tra il 4200 e il 3600 avanti Cristo. Stratificazioni che oggi emergono dal ritrovamento di una selva di 430 pali di legno infissi sul suolo, di travi di quercia anche di 4 metri che costituivano le fondamenta delle capanne, e ancora oggetti probabilmente caduti nel limo e non recuperati tra cui un cucchiaio di legno, zappette, manici di attrezzi, palette da forno, frammenti di un grande vaso in legno. Persino delle antiche gomme da masticare del periodo Neolitico, alcune delle quali con ancora piccole impronte di denti che fanno pensare al morso di un bambino. E ancora resti ossei e di animali, ma anche di granaglie e mele selvatiche lasciate essicare ma carbonizzate probabilmente a causa di un incendio. Nonché l'oggetto forse più prezioso tra i ritrovamenti recuperati dai livelli più profondi (pertanto collocabile in un periodo sicuramente antecedente il 4300-4200 a.C.), ossia il manico in legno di un'ascia che presenta i fori per la lama in pietra (non conservata), strumento non da lavoro bensì probabilmente ascia da parata, per eleganza e accuratezza della fattura che testimoniava il prestigio del suo possessore.
CAMPAGNE DI SCAVO
A conservare e difendere nei millenni questo prezioso scrigno di stratificazione storiografica e paleo-ambientale, è il sito palafitticolo del Palù in provincia di Pordenone, nei comuni di Caneva e Polcenigo. L'area è stata interessata dal 2013 a oggi da cinque campagne di scavo, l'ultima delle quali si è appena conclusa rivelando oggetti e reperti quanto mai preziosi che connotano il sito palafitticolo come uno dei più antichi in Italia. Il Palù infatti rientra tra i 111 siti palafitticoli preistorici inseriti nel Patrimonio Mondiale dell'Unesco distribuiti nell'arco alpino (dalla Svizzera alla Slovenia, passando per Italia, Germania e Austria), 19 di questi in Italia. Pochi però risalgono addirittura al periodo Neolitico come appunto il Palù.
Durante le cinque campagne si era riusciti a definire una datazione grazie ad alcuni ritrovamenti. Le più recenti indagini hanno rivelato una stratificazione ancora più antica. Quest'ultimo scavo riguarda l'area Settore 3 in cui ci si è concentrati su una porzione di 50 metri quadrati benché l'area di insediamento e la relativa dispersione di resti neolitici riguardi un'area di 60mila metri quadrati. «L'area oggetto di scavo poco più grande di una stanza, è una finestra stratigrafica nel tempo, come se guardassimo dalla toppa della serratura, una specie di Wunderkammer nel tempo» spiega Roberto Micheli funzionario archeologo della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia ente che ha coordinato le indagini condotte sul campo dalla ditta Cora Società archeologica di Trento con il supporto logistico e la preziosa collaborazione (specialmente per le operazioni di setaccio) dei volontari del Gruppo Archeologico di Polcenigo (GrAPO). I lavori di scavo sono stati sostenuti con fondi del Ministero della Cultura - Soprintendenza con un ulteriore contributo dell'Uti Livenza-Cansiglio-Cavallo e per quanto riguarda l'ultima campagna dal Comune di Caneva attraverso il finanziamento della Regione Friuli Venezia Giulia a favore dei siti Unesco minori. Gli scavi sono stati realizzati a una profondità mediamente di 50-60 centimetri, in condizioni particolarmente complesse proprio per drenare l'acqua, hanno pertanto richiesto diversi anni, e sono l'esempio virtuoso di collaborazione tra Sovrintendenza, Comuni, azienda privata e volontari.
UN SITO ECCEZIONALE
«Il sito è di eccezionale valore, sono presenti almeno quattro episodi di differenti villaggi succedutisi tra il 4300 e il 3600 a.C. e probabilmente anche prima. Abbiamo trovato i resti delle fondazioni in legno di almeno quattro capanne. Una selva di pali rappresentativo del sistema di costruzione di capanne che galleggiavano sul fango. Oltre alle strutture, abbiamo trovato anche oggetti e rifiuti. Blocchi informi di selce (che veniva utilizzata per creare strumenti musicali), frammenti di ceramiche, resti di semi e frutta, perfino di funghi xilofaghi (del legno) che una volta essiccati servivano da esca per accendere il fuoco. L'epoca è il Neolitico ben prima dell'uso di metalli, tempo antichissimo di cui si conserva generalmente poco. Ma è proprio questo ambiente naturale contraddistinto da alta acqua di falda e da ambiente acido con pochi microrganismi, ad aver assicurato questo livello di conservazione» prosegue Micheli.
L'area archeologica presenta cinque fasi di stratificazione: l'ultima a essere stata rilevata (e la più antica) presenta le palizzate e i resti di una antichissima capanna (precedente il 4300), su cui fu poi sovrapposta una ulteriore struttura che probabilmente funzionava da magazzino poiché qui sono stati rivenuti semi carbonizzati e granaglie. A una fase successiva è riconducibile una capanna di dimensioni inferiori forse un piccolo magazzino. Alla fase di abbandono è seguita la sovrastrutturazione di una successiva capanna poi abbandonata, e infine di una quinta capanna. Le capanne erano costruite interamente in legno; avevano forma quadrangolare su impalcati aerei su palificata per assicurare la stabilità e preservarle dalla minaccia dell'acqua. Le pareti erano almeno in parte intonacate con argilla e dentro le abitazioni c'erano dei focolari attorno ai quali si svolgevano le varie attività del vivere quotidiano. Tra i materiali raccolti c'è anche una vanga neolitica, delle gomme da masticare (che fanno riferimento ai livelli di villaggio più recenti, databili tra il 3900 e il 3600 a.C.) ovvero piccoli grumi in pece di betulla che venivano masticati per le proprietà antisettiche e antinfiammatorie.
«Riusciamo a dedurre la complessità della vita in questi villaggi; c'era un continuo susseguirsi di insediamenti, abbandoni, incendi, successive ricostruzioni, che oggi riusciamo a individuare grazie alla conformazione ambientale del Palù. I siti umidi sono eccezionali per il livello di preservazione dei contesti quotidiani, ma sono molto complicati da scavare» conclude Roberto Micheli.
CENTRO VISITE
Palizzate e reperti lignei sono stati inviati nei laboratori specializzati delle Soprintendenze di Milano e Trento, in attesa di poter tornare nel sito archeologico. Proprio con questo obiettivo verrà realizzato il Centro Visite (con il contributo della Regione Fvg e per volontà dei Comuni di Polcenigo e Caneva). L'intenzione della Regione in accordo con Sovrintendenza è realizzare anche una ricostruzione filologicamente rigorosa e attendibile di alcune palafitte per rendere anche visivamente come poteva essere l'insediamento del sito palafitticolo che oggi è completamente conservato dalla vegetazione. Sul sito vengono realizzate visite guidate naturalistiche dalle Guide Prealpi Cansiglio Hiking (per info prenotazioni Ecomuseo Lis Aganis tel. 0427 764425, info@ecomuseolisaganis.it). Una piccola sezione espositiva dedicata al Palù è invece visitabile fino a gennaio al Museo Civico di Montebelluna.
Valentina Silvestrini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci