Ortombina loda «la naturalezza di un capolavoro»

Venerdì 22 Novembre 2019
Ortombina loda «la naturalezza di un capolavoro»
L'INTERVISTA
Gli occhi sono stanchi. Il volto è tirato. Non c'è stata sosta. Da giorni e giorni. Da quella famigerata notte del 12 novembre scorso, con l'acqua alta a 1.87, e i quadri elettrici del teatro finiti in ammollo che hanno mandato in tilt l'ente lirico, Fortunato Ortombina, sovrintendente de La Fenice, tira un sospiro di sollievo. Da pochi minuti ha ricevuto il responso dei Vigili del Fuoco di Venezia. Si tratta di un via libera che rinfranca. Una iniezione di fiducia dopo la botta dell'alluvione e la temporanea migrazione a Treviso dei professori di orchestra per le prove e il presidio costante per evitare altri allagamenti davanti a nuove ondate di acqua alta annunciate.
Sovrintendente Ortombina, giornate che si ricorderanno. Quasi un crescendo rossiniano, se è concesso.
«Senz'altro. E non posso che ringraziare tutti coloro che si sono prodigati, dai Vigili del fuoco ai nostri dipendenti. A chi ha voluto testimoniare la sua vicinanza con un messaggio, con un sostegno economico, come hanno fatto i lavoratori della Scala; dell'Opera di Firenze, dell'Arena, di Generali Italia. Un grazie particolare al Teatro Stabile del Veneto che ci ha fatto eseguire le prove al Comunale di Treviso.
Con una facile battuta possiamo dire che La Fenice non solo è rinata dal fuoco... ma è emersa anche dalle acque
«È così e ne andiamo fieri. È stata una corsa contro il tempo, ma è stata vittoriosa».
Ora è tutto pronto per il Don Carlo di Verdi, un'opera molto attesa.
«Abbiamo scelto la versione in quattro atti fedeli a quello che Verdi scrisse rimodellando l'opera che originariamente era di cinque atti. Il compositore scrisse: Per comodo, poi credo anche migliore, artisticamente parlando. Più concisione, più nerbo. E a questo invito noi ci siamo attenuti. Qui c'è tutta l'essenzialità di Verdi».
Vi è tutta la responsabilità di un compositore.
«Esattamente. È un lavoro che, così come recita il testo, gioca con il dubbio, ma allo stesso tempo fa emergere le responsabilità di tutti i protagonisti. E così è per noi. Alla fine, il messaggio che emerge è che tutti operano per il bene comune»
Temi, senza dubbio, molto attuali
«È un modo di interrogarsi sul potere e di non fermarsi a guardarsi intorno. È la ricerca di un progetto futuro. Se dovessi dirlo in politichese potrei azzardare questo: un manuale di analisi della politica (ride).
Quindi?
«Il Don Carlo è naturalezza; è la ricchezza del dialogo. Lo rivelano le battute del canto. Non ci sono termini arcani, è quindi di facile comprensione. Nè semplice nè popolare. Impegnativo, ma di grande intuizione per l'ascoltatore. E poi ricordiamo che Don Carlo di Verdi venne composto nel 1867. Venezia era italiana da un anno...».
Vuol dire che Verdi ha pensato al futuro?
«Ovviamente. Ci ha pensato eccome! E quest'opera ci parla ancora. Sono le tematiche che più contraddistinguono il Don Carlo: il rapporto tra le generazioni (monarchi e principi); la volontà e il destino degli uomini. E infine le difficoltà e il conflitto con il mondo che ci circonda, l'esigenza e il peso delle nostre responsabilità. In tutto questo marasma - si sia concesso il termine - sopravviviamo perchè ci è noto che c'è qualcosa di Superiore».
Paolo Navarro Dina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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