Ortodossi e nazionalisti, due destre paralizzano Israele

Martedì 17 Settembre 2019
Non sono passati neppure sei mesi e gli israeliani sono di nuovo chiamati alle elezioni per rinnovare la Knesset, il Parlamento mono-camerale. E anche questa volta, proprio come lo scorso 9 aprile, il voto si appresta a essere un referendum sul premier Benjamin Netanyahu, al potere da 13 anni. Proprio lui ne era uscito vincitore ma, senza essere riuscito a trovare un accordo con i partiti di destra che gli consentisse di formare un governo, è stato costretto a dover tornare alle urne. Ed è proprio a destra del Likud, il partito del primo ministro, che verrà deciso il nuovo esecutivo e la sorte, non soltanto politica ma anche giudiziaria, di Netanyahu, con procedimenti a suo carico per le accuse di corruzione, abuso d'ufficio e frode, ma al momento congelati proprio come sei mesi fa in attesa dell'appuntamento elettorale. Il mancato accordo tra le due anime che compongono la destra nazionalista israeliana ha impedito a Netanyahu di formare un governo e ha portato di nuovo alle urne. Da un lato i piccoli ma decisivi partiti ortodossi, che sognano uno Stato teocratico, fondato sulla Torah, così come dichiarato ad agosto dal ministro dei Trasporti uscente, Bezalel Smotrich, membro di Casa Ebraica, definito dagli analisti «partito di estrema destra» per le sue posizioni ultranazionaliste di stampo religioso. Insieme con Tkuma ha dato vita, nelle ultime legislative, all'Unione dei Partiti di Destra. Determinanti e sempre della stessa posizione politico-ideologica anche Shas e Giudaismo Unito nella Torah, entrambi premiati da un buon risultato nel voto del 9 aprile.
Sempre a destra ma con un approccio nazionalista di impostazione laica c'è Yisrael Beiteinu, il partito dell'ex ministro degli Esteri e della Difesa, Avigdor Lieberman, che raccoglie l'importante voto degli israeliani con origini nell'Europa orientale. Nazionalista anche lui, ma con una visione laica dello Stato di Israele. Meno di sei mesi fa è stato il mancato accordo con Lieberman a obbligare Netanyahu a ritentare la via elettorale.
Tra i punti su cui finora non si è trovata intesa c'è quello sulla leva obbligatoria per i giovani haredim, l'ala ultra-ortodossa dell'ebraismo. Un vero e proprio braccio di ferro tra Lieberman, che vorrebbe imporla, e le piccole ma agguerrite formazioni religiose, che non vogliono cedere, in mezzo Netanyahu che finora non è riuscito a mediare. Sebbene i risultati delle elezioni siano sempre un'incognita è a destra che gli analisti prevedono si determineranno le sorti di un eventuale nuovo governo. E se la sinistra, a cominciare dai laburisti, rischia una nuova sconfitta, c'è interesse a vedere la tenuta di Resilienza per Israele, la formazione centrista guidata Benjamin Benny Gantz, ex capo di Stato maggiore, lo sfidante del primo ministro uscente. Nonostante il buon risultato di aprile, Gantz non è riuscito nell'impresa di fermare Netanyahu, il più longevo leader israeliano in carica.
La situazione rischia così di cristallizzarsi e di fermarsi prima ancora di cominciare, proprio laddove si era stata bloccata. Gli ultimi sondaggi rimandano a uno scenario immutato a quello di aprile, con i due principali partiti testa a testa (entrambi 32 seggi) e l'estrema destra in ascesa anche con le formazioni del blocco Yamina (della ex ministra della Giustizia, Ayelet Shaked) e del partito Otzma Yehudit, erede del movimento fuorilegge Kahanismo. È incognita anche per l'affluenza alle urne della popolazione arabo-israeliana, di fede sia musulmana sia cristiana, e delle altre minoranze, come quella dei drusi. Per la sinistra, invece, c'è l'incubo di non passare la soglia di sbarramento (3,25%), nonostante le diverse e recenti fusioni.
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