Noventa un gigante dimenticato

Giovedì 2 Luglio 2020
Noventa un gigante dimenticato
IL PERSONAGGIO
Non scriveva: recitava ad alta voce i suoi versi che conosceva a memoria. Non progettava: inventava ogni volta quella lingua venetizzata che serviva a quei poemi che raccontavano sentimenti e vita. Originale, autonomo, solitario.
E dimenticato, tanto da essere a 60 anni dalla sua morte, avvenuta a Milano il 4 luglio uno dei poeti e pensatori veneti fra i meno conosciuti e meno ricordati. Quel ragazzo del 1898 che viene mandato dalla nobiltà di campagna a studiare al Foscarini di Venezia liceo dal quale verrà espulso, o ritirato dalla famiglia, non c'è chiarezza, per indisciplina - si presenterà poi, a 17 anni volontario nella Grande Guerra. Gli dicono di no, ma poi gli danno una divisa e finisce in prima linea. Questa inquietudine non lascerà mai Giacomo, poeta che modifica il cognome di Ca' Zorzi in quello di Noventa, omaggio alla sua città natale; a quella heimat del Piave che è già una scelta contro la patria-nazione fascista. Così come il suo dialetto diventa una proposta di verità contro l'italiano usato dal regime o dall'ermetismo: Mi me son fato na lengua mia/Del venezian, de l'italian:/Gà sti diritti la poesia,/ Che vien dai lioghi che regna Pan.
La studiosa Vittoria Arslan ha commentato la scelta di Noventa: La sua lingua è un veneto speciale, ricreazione memoriale e reinvenzione di una forma di comunicazione astorica, che deve essere compresa da tutti.
LA BIOGRAFIA
Antico nei suoni, modernissimo e nostalgico nei sentimenti Giacomo Noventa, aiutato dall'agiatezza della famiglia, si laurea a Torino nel 1923 in filosofia e in quella città stringe legami con uomini di cultura come Piero Gobetti. Per dieci anni, dal 1925 al 1935 - dopo breve esperienza in uno studio di avvocato a Roma - viaggia in Europa; Francia (dove conosce personalmente il filosofo cattolico Jaques Maritain), Germania, Spagna, Svizzera. In quegli anni è forse il più internazionale degli uomini di cultura veneti ed italiani. Dal 1929 al 1934 si dedicherà alle poesie, che recita agli amici e alla moglie: sarà lei Franca Reynaud, compagna universitaria, sposata nel 1931 a Torino a raccogliere in quaderni le poesie che Giacomo dettava. Nelle sue poesie di ispira ad Antonio Machado, Wolfgang Goethe e ad Heinrich Heine (Chi brucia i libri finisce per bruciare anche gli uomini) , il suo dialetto accarezza i versi tedeschi e li colora di altri suoni ed impressioni.
I RICORDI
Ha scritto Mario Soldati, suo amico: Come le recitava! Tale era il fascino della sua voce, dei suoi sguardi, dei suoi pochi gesti, o forse, soltanto, della sua semplice presenza che si restava a ascoltarlo come incantati. Noi ci illudevamo di capire, ma in realtà capivamo molto poco in rapporto a quello che c'era da capire e che avremmo dovuto capire. Travolti da lui, lo ammiravamo, lo amavamo, e questo ci bastava. Andrea Zanzotto dirà: Ai miei allievi ho presentato sempre delle poesie di Noventa e le ho fatte cantare, dopo varie prove dei singoli allievi a tutta la scolaresca insieme, e ne veniva fuori qualche cosa di straordinario, completamente estraneo al quadro predeterminato dai libri, dalla scrittura.
Noventa, al rientro a Torino nel 1935, viene arrestato - perché antifascista e scarcerato dopo un mese ma non potrà risiedere più in Piemonte. Si sposta a Firenze dove fonda la rivista Riforma letteraria, che vive per tre anni. Nel 1939 nuovo arresto: accusato di corruzione intellettuale sui giovani tra cui Pampaloni, Fortini, Spini, Nomellini. Gli interdicono la possibilità di abitare in città universitarie, va al confino a Noventa di Piave. Il richiamo alle armi dura pochi mesi, lo congedano. Con l'8 settembre Noventa sceglie di vivere a Roma. Aveva fondato e diretto a Venezia La Gazzetta del Nord (1946-47; posizioni vicine al partito liberale); poi socialista fu anche candidato al Parlamento nel 1953, lista di Unità popolare di Calamandrei e Codignola: non venne eletto.
VITTORIE & SCONFITTE
Cominciano a rompersi i rapporti con quei mondi, difficilmente sostenibili da uno come lui che, in epoche politicamente roventi restava, sempre parole di Arslan insieme cattolico e socialista, conservatore e rivoluzionario, così come, in poesia, classicista (nei contenuti) e moderno (nel dialetto). Nel 1956 vince il premio Viareggio per la poesia. Sarà Giovanni Giudici, poeta e giornalista, molto vicino a lui, a raccontare gli ultimi giorni di vita: Quante persone, ora. Sembra un'improvvisa scoperta a coloro che per anni lo hanno ignorato e mi domando se non sia stato questo tardivo e pur sempre lodevole pentimento dal fatto che ad un certo punto e stato ancora una volta lui (in questi ultimi mesi a Milano) a sapere stare con piugiovani di lui parlando rispetto al nostro un linguaggio ancora piu giovane e vitale. Viene operato per un tumore, migliora ma dopo pochi giorni è la fine. Il resoconto di Giudice è straziante. Oggi 4 luglio, alle 16.50 è morto Giacomo Noventa». Pierpaolo Pasolini, che lo apprezzava molto, gli aveva dedicato una poesia, il critico Geno Pampaloni e Franco Fortini, lo collocano tra i grandi della letteratura; Piervincenzo Mengaldo dice che la sua è lingua letteraria più che poetica, Ferdinando Bandini lo indica come solitario e difficile. Ma ha ragione Zanzotto quando dice che il suo dialetto è come una ursprache, lingua primigenia che Noventa ammette, perchè ha usato il dialetto come un codice della modernità, volendo restare ai margini. Un giorno o l'altro mi tornarò, no' vùi tra zénte strània morir, un giorno o l'altro mi tornarò nel me paese. () E a un dei tosi che andarà via, voltando i òci de nòvo al porto, e a un dei tosi che andarà via, ghe darò el cuor.
Adriano Favaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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