«Noi Gattoparde sfrontate nell'ultimo ballo della vita»

Sabato 19 Settembre 2020
«Noi Gattoparde sfrontate nell'ultimo ballo della vita»
L'INTERVISTA
Le Gattoparde sono smaccate ed eccessive, sgargianti e spudorate, creature multiformi capaci di attraversare le epoche cambiando sempre pelle: ultime esponenti di una classe in via di estinzione come i principi del romanzo di Tomasi di Lampedusa, invitano il pubblico «all'ultima festa prima della fine del mondo» dove l'Italia si svelerà tra piccole e grandi mostruosità, fra «i tanti non detti del nostro spirito nazionale» in un inarrestabile precipitare dentro un baratro. Come raccontava il Gattopardo, anche le spettacolari Nina's Drag Queens sanno cogliere spirito e sguardo dello scrittore siciliano e raccontare l'immutabilità di un paese che mai cambia. La splendida compagnia nata nel 2007 al Teatro Ringhiera di Milano, considerata una delle più interessanti formazioni en travesti in grado di spaziare da Shakespeare a Checov «come funamboli che camminano sul filo restando in equilibrio su tacchi a spillo», come dice il direttore della Biennale Latella che l'ha invitata al suo festival 2020, approda in prima assoluta domani al Goldoni di Venezia con Le Gattoparde (L'ultima festa prima della fine del mondo), lavoro che, come i precedenti, reinventa e tradisce l'originale, in un gioco scenico originalissimo e potente, «una commedia rumorosa e romantica - spiega Ulisse Romano, componente del gruppo con qualche macchia di sangue sulla veste buffonesca».
Perché proprio questo testo?
«Il nostro non è un adattamento, abbiamo utilizzato il romanzo come se fosse un contenitore di contenuti, in grado di offrirci temi su cui lavorare. Ci interessava rispondere al tema della Biennale, la censura. A nostro avviso, e questo affiora anche nell'opera di Tomasi, la forma più forte di censura del nostro tempo è l'autocensura. Ossia l'incapacità di fare i conti con la realtà. Sono le piccole grandi bugie che ci raccontiamo per quieto vivere, per portare avanti la nostra vita. Il termine Gattopardismo indica proprio questo, e l'autocensura ne è forma evidente.
Come mai l'ultima festa?
«La maggior parte delle persone ricorda la scena del ballo nel film di Visconti. Noi ci siamo presi questa libertà, con l'immagine simbolo che tutti ricordano. Ma il nostro ballo è ben diverso».
Cioè?
«I personaggi principali sono 5, poi ne appaiono altri che attraversano questa scena. Il nostro è un viaggio interiore dentro questi personaggi, e nello stesso tempo un viaggio molto stilizzato nella storia del nostro paese. Sono personaggi che vivono le proprie crisi, con i propri desideri di riscatto o di affermazione, alla ricerca di una propria posizione nel mondo. Nel farlo, attraversano una festa, una giostra sulla quale passano anche personaggi storici o figure allegoriche che mettono in scena anche la storia del paese».
Tipo?
«C'è Italia, che rappresenta le Garibaldine. E anche Raffaella Carrà, col suo caschetto ... libero dalla lacca».
Visivamente come sarete vestiti?
«L'intento è di costruire un codice estetico non riconducibile ad un'unica epoca. Non sarà 800, né saranno gli anni 50-60- 70. Ci saranno moltissimi abiti che possiedono uno stile trasversale, dopo tutto la festa non avviene in un anno preciso. Seguiamo quest'idea, che tutto cambia, ma in fondo niente cambia, in un ciclico ritorno delle cose».
Chi sono allora le gattoparde?
«Sono persone che si interrogano sul futuro vivendo un grande cambiamento. Stiamo vivendo realmente un momento simile, sembra paradossale, ma abbiamo terminato di scrivere il lavoro in pieno lockdown su temi abbozzati l'anno scorso»
Proiettarsi sul futuro, ma come immaginarlo? Sarà un massacro come dice Leonard Cohen?
«L'idea è di cercare di andare oltre il massacro, oltre la retorica della fine, cercando di parlare della necessità di cambiamento».
La maschera della drag è attualissima.
«Vero, non abbiamo inventato niente, le maschere esistono da quando esiste il teatro. La drag ha comunque regole sue, in questo è figlia dei nostri tempi. Si avvale della contemporaneità: per noi è la libertà, è la possibilità di avere uno sguardo autoirionico su di sè. Ci permette di mettere in scena con più forza le contraddizioni dell'epoca, liberi dalla retorica. Con le drag devi anche puntare alla trasformazione: ciascuno di noi recita con un personaggio ma sotto c'è un altro personaggio ancora, e altri ancora che convivono. Una sovrapposizione a più livelli... come veri funamboli».
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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