Nel Veneto spietato dei tracolli bancari

Mercoledì 23 Ottobre 2019
L'INIZIATIVA
Prendi un gruppo di «cattivi» e piazzali per qualche ora in un unico spazio, come accade in Carnage di Polansky; falli litigare tra loro, finché non si sbraneranno l'uno con l'altro. O forse no, qualcuno sopravviverà, come insegna Tarantino in The hateful eight. Benvenuti nel «western con echi tarantiniani» che Romolo Bugaro e Alessandro Rossetto stanno costruendo per raccontare il crac delle banche popolari. Un curioso progetto che vuol far dialogare cinema e teatro, in un continuo mix di intrecci e rimandi ideato per lo Stabile del Veneto. Dopo il cupo e potente Effetto Domino, lo scrittore e il regista tornano infatti a collaborare insieme per Una banca popolare, la pièce che debutterà sul palco del Goldoni di Venezia a dicembre (12-15) e a gennaio (8-12) al Verdi di Padova. Uno spettacolo teatrale destinato a diventare un film in bianco e nero, che sarà in sala il prossimo anno (produce la padovana Jole).
IL DEBUTTO
I due autori padovani si misurano per la prima volta con il teatro, con uno spettacolo assolutamente nuovo per lo Stabile: un lavoro che sarà contaminato dal cinema per scrutare il lato oscuro di un Veneto rapace, crudele e bancarottiero che gioca - male - con il risparmi e i destini della gente senza poi pagarne le conseguenze. «Il crac delle popolari era un tema ineludibile per me - spiega Bugaro - Come facevo a non parlare di uno tsunami che ha investito il territorio? Il tema mi è stato consegnato dalla vita. A me interessa il corpo a corpo con il mio tempo e la mia contemporaneità». La storia si giocherà tutta in una notte, durante una cena-festa in cui i personaggi - una coppia, un imprenditore, un medico, un avvocato e un grande banchiere - verranno messi a nudo senza pietà. Rossetto sta girando in questi giorni a Villa Rocca Pisana di Lonigo con gli attori che ormai fanno parte del suo panorama artistico sin da Piccola Patria: il duo Diego Ribon e Mirko Artuso («siamo i suoi attori feticcio» ride Artuso), quindi Valerio Mazzucato, Fabio Sartor, Sandra Toffolatti, Davide Sportelli. «Palco e film dovranno dialogare e fondersi - aggiunge Rossetto - Ho deciso di prendere possesso delle riprese del film prima di iniziare le prove a teatro per definire meglio lo spettacolo. Una specie di percorso inverso. Il teatro mi ha sempre interessato molto, ci stavo pensando da tempo». E per lui, che nasce come sensibile documentarista, il passaggio sul palcoscenico risulta abbastanza naturale: «In fondo c'è un legame tra documentario e teatro - osserva il regista - perchè entrambi tendono a raccontare cose irripetibili. La pièce adesso ci spinge ad accelerare i tempi, che sono stretti. Ma il processo è interessante, il teatro riserva sorprese per il cinema e viceversa».
I TEMI
Bugaro si è concentrato sui «cattivi, non sulle vittime. Ho voluto mettere in scena le loro voci, e quelle di coloro che stono stati intorno a loro per anni. C'è una parte visibile, conosciuta attraverso i processi e gli articoli sui giornali, ma c'è soprattutto una parte invisibile, quella di cui ho cercato di occuparmi, che parla di altro. Della rottura di equilibri consolidati, della rivoluzione dei rapporti, della caduta di un sistema di potere che aveva governato questa regione. Dall'altro anche i grandi temi della vanità, del costante desiderio di potere, del tradimento e della morte». Ne esce il ritratto di un mondo feroce, cupo, rapace, legato sì alla terra e al suo capannone, ma anche al denaro e ai rapporti di potere. «Sono scenari in cui si possono ambientare storie nere - avverte Rossetto - il testo parla dei pericoli legati alla mancanza di responsabilità adulta. È una storia planetaria, in fondo. Per questo abbiamo pensato di costruire una scenografia molto stilizzata e un film in bianco e nero. Non so se ne uscirà un western come dice Romolo, ma il bianco e nero mi è sembrato l'ideale per questo tipo di lavoro. Mi hanno ispirato alcuni riferimenti cinematografici di inizio anni Sessanta. Penso a Germi, a Robert Frank. Il tempo della festa in cui tutto avviene è narrato per frammenti, il che porta a creare un tempo sospeso. Il bianco e nero ci è sembrato l'ideale per sostenerlo. A teatro si rifletterà in una scenografia molto stilizzata». Lo spettacolo è un'amara riflessione «sullo strapotere dei potenti - chiude l'attore trevigiano Mirko Artuso che nella pièce interpreterà il medico - che nella gestione delle banche si sentono liberi di fare ciò che vogliono con economie che non appartengono a loro. Ma le conseguenze, poi, le pagano gli altri».
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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