Nel momento in cui il Paese, grazie ai vaccini, sembra riaprirsi alla normalità

Sabato 17 Aprile 2021
Nel momento in cui il Paese, grazie ai vaccini, sembra riaprirsi alla normalità e avviarsi a superare la pandemia, ci piace ricordare l'anniversario di un evento di 75 anni fa che ispirò altrettanto ottimismo: il 23 aprile del 1946 fu infatti brevettata la Vespa, che costituì il primo simbolo della ripresa dalle rovine del dopoguerra, come la 500 lo sarebbe stata, più tardi, del cosiddetto miracolo economico. Sei anni dopo tutto il mondo conobbe e invidiò questo piccolo gioiello meccanico, quando Gregory Peck lo cavalcò per le strade romane, agganciato da una impaurita - e innamorata - Audrey Hepburn. Non fu un successo effimero. La Vespa - sempre diversa ma sempre uguale, come la vita - continuò e continua ad esser prodotta e amata. L'ultimo modello, quello elettrico, è già sul mercato.
LA STORIA
Le sue origini risalgono a un'idea di Corradino D'Ascanio, ingegnere aeronautico della Piaggio, che peraltro aveva una buona esperienza soltanto nella costruzione di aerei. Fu questa fabbrica a produrre l'unico bombardiere strategico da noi impiegato durante la seconda guerra mondiale, il P108. Era un bel quadrimotore, quasi all'altezza degli Halifax e Lancaster inglesi, e dei B17 e Liberator americani. Durante il collaudo di un prototipo perse la vita Bruno Mussolini, figlio del duce, che lo pilotava. Gli esemplari furono pochi, per carenza di materie prime, ma la nostra consueta fantasia sopperiva alle deficienze di un'industria paralizzata e obsoleta.
L'OLIO DELLA CATENA
Fu proprio questa versatilità inventiva a ispirare a D'Ascanio, nel momento della riconversione produttiva postbellica, il progetto di una due ruote a costo contenuto diversa da tutte le altre. Pare che l'ingegnere detestasse due cose delle motociclette: doverci salire scavalcandole, come faticosamente si fa con la sella, e imbrattarsi i pantaloni con l'olio della catena di trasmissione. Così immaginò una scocca portante, priva di tunnel centrale, un telaio che coprisse il motore e il cambio collocato sul manubrio: con l'aiuto del disegnatore Mario D'Este creò quel modello che facilitava la guida, la rendeva possibile anche alle signorine in gonna, ed evitava ai maschietti il ridicolo risvolto sopra i calzini corti e il polpaccio nerboruto. La semplicità della soluzione fu inversamente proporzionale a quella della formula del brevetto, che suona come Motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica. Munito di questo viatico di tortuoso burocratese il mezzo entrò in commercio. Mancava il nome, che pare derivi da un'esclamazione di Enrico Piaggio che, osservando il prodotto dall'alto, lo paragonò alla silhouette del ronzante imenottero. Mai battuta fu più indovinata.
Oggi la Vespa - nome e veicolo - è conosciuta in tutto il mondo, ed esposta in mostre e musei. Anche il MoMa di New York ne esibisce un modello. Quanto alla produzione, crebbe in modo quasi esponenziale: duemilacinquecento nell'anno del lancio, quasi undicimila l'anno seguente, ventimila nel 1948 e così via. Ad oggi ne sono stati fabbricati, negli stabilimenti sparsi in decine di Paesi, più o meno venti milioni di esemplari. Lo scooter è stato (ed è) protagonista di migliaia di raduni, di viaggi avventurosi e persino di giri del mondo. È apparso in numerosissimi film, guidato da attori e attrici internazionali. Nessuno ha più emulato l'allegra e sentimentale galoppata per le strade romane della coppia Peck - Hepburn; tuttavia l'immagine della Vespa è stata arricchita dalle caratteristiche delle differenti personalità che l'hanno guidata. Come quella della seducente Angie Dickinson, che colma il vuoto del telaio dell'ing. D'Ascanio con le gambe più belle di Hollywood
L'UNIVERSALITÀ
Da un punto di vista sociale, la Vespa fu una rivoluzione, paragonabile a quella della Volkswagen, la vettura del popolo, che per diffusione e durata può essere paragonata alla sua più economica sorellina italiana. Entrambe consentirono una maggiore libertà di movimento nel lavoro e nel tempo libero alle categorie meno abbienti, soprattutto operaie e impiegatizie, ma nello stesso tempo catturarono l'interesse, e successivamente la passione, dei giovani di tutte le classi sociali. Benché destinata, nelle intenzioni degli ideatori, ai percettori di redditi modesti, la sua eleganza, l'originalità e la praticità le conferirono un connotato universale, e talvolta persino snobistico. Come più tardi sarebbe avvenuto per la 500, la Vespa fu (ed è) usata dall'operaio per arrivare in fabbrica, dallo studente per accedere all'Università e dalla raffinata borghese nello shopping cittadino. Fu insomma uno dei primi tentativi di conciliazione interclassista.
SPIONAGGIO INDUSTRIALE
Qualche mugugno arrivò, come al solito, dal Partito Comunista. Da un lato, la motorizzazione di una larghissima fascia di lavoratori smentiva quel progressivo impoverimento del proletariato che, secondo l'apocalittica marxista avrebbe condotto alla rivoluzione, e dall'altro dimostrava che, nei Paesi capitalisti, la classe operaia viveva meglio dei compagni protetti dalla cortina di ferro. Dopo la morte di Stalin, e con l'avvio del disgelo, Kruscev cercò di raggiungere e di superare l'Occidente nell'economia e nella tecnologia. Ci riuscì, provvisoriamente, nell'industria aerospaziale, ma per il resto si limitò a rubare progetti e produrre imitazioni. Così, nel settembre del 56, la stampa di regime pubblicò la trionfale notizia che una fabbrica a Kirov aveva lanciato lo scooter leggero Vjatka 150: una scandalosa copia del nostro gioiellino, frutto probabilmente dello spionaggio industriale, quello stesso che anni dopo avrebbe portato alla costruzione del Concordsky, brutta copia del Concorde, che però non ebbe seguito.
L'ANEDDOTO
Al contrario, l'imitazione sovietica della Vespa fu un successo, tanto che qualche inguaribile apologeta insinuò che fosse meglio dell'originale, e che fosse disponibile a bassissimo prezzo per un larghissimo consumo. La smentita più beffarda arrivò dai Samizdat, la stampa clandestina del dissenso russo, che fece circolare una storiella che val la pena di raccontare. Un fedele militante scrive alla Pravda: Cari compagni, mi si dice che sulla Piazza Rossa ogni settimana regalano una Vjatka 150 agli operai più benemeriti. Mi rallegro e mi propongo. E il direttore risponde: Caro compagno, la notizia è sostanzialmente esatta, con alcune precisazioni marginali: non si tratta solo della Piazza Rossa, ma di tutto il Paese, e la frequenza non è settimanale, ma giornaliera; inoltre non si tratta di Vjatka, ma di biciclette; infine non è che le regalino, le rubano.
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